Al mondo del carcere è stata dedicata la tavola rotonda, che l’ufficio Ecumenismo e dialogo diocesano propone quale momento di riflessione nella settimana di preghiera. Sono intervenuti padre Massimo Lelli o.f.m cappellano della casa circondariale di Terni e Nadia Agostini del progetto “Ascolto” della Caritas diocesana. Il pastore Pawel Gawjeski, che ha moderato l’incontro, ha ricordato l’esperienza interconfessionale di cappellania in carcere a Firenze per assistenza religiosa ai detenuti.
Nadia Agostini ha ripercoso i 15 anni di attività in carcere con il progetto “Ascolto” che coinvolge 8 volontari, che due volte a settimana distribuiscono beni di prima necessità, soprattutto a quei detenuti che non hanno nulla e nessuno che possa occuparsi di loro.
“Ci siamo spessi trovati a pregare insieme – ha detto Agostini – in carcere nella grande disperazione ciascuno nel modo che è proprio. L’accompagnamento nella riabilitazione non è così scontato. Ma noi cerchiamo di portare speranza, conforto, nella gratuità, uno sguardo di un volto amico, perchè la solitudine e uno dei mali più grandi. I volontari, animati dallo spirito del Vangelo, cercano di dare speranza che può migliorarli. Offrire opportunità di riscatto, giustizia di riconciliazione che apre alla speranza. Si impara il perdono in questi luoghi. È questo serve a loro e anche a noi. Guardare con benevolenza chi è in carcere è anche liberarsi dalle proprie prigioni dall’egoismo e della bramosia del potere. Questo porta a riconsiderare tante cose, nel nostro essere imperfetti”.
Padre Massimo Lelli ha cominciato, non senza difficoltà, la sua esperienza di cappellano del carcere un anno e mezzo fa. Il suo è un servizio a tempo pieno all’interno della Casa Circondariale dove celebra la messa ogni giorno in un settore diverso e assiste anche il personale e la polizia penitenziaria.
“E’ un’esperienza difficile ma bella dal punto di vista umano e di fede. A volte ci si approccia con pregiudizio, si sentono tante situazioni difficili. Mi sono chiesto: “Gesù come si sarebbe posto di fronte a queste persone?”. Ho cercato allora di andare loro incontro come un padre che ascolta i figli. Si attaccano molto alla figura del cappellano anche i musulmani che vengono per ascoltare le parole del sacerdote, perché si sentono liberi in quei momenti e amati per quello che sono. Bisogna dare sempre speranza. Entrare nella vita delle persone in punta dei piedi come in un santuario ed imparare a conoscere”.
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