Veglia di Pentecoste 2016

In questo anno giubilare, tutto il popolo di Dio si riunisce per invocare lo Spirito Santo sulla Diocesi, sulla Città e sul mondo
Questa sera, in forma più ampia, siamo uniti, “assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, la Parola Dio e nella preghiera”.
Insieme a Maria, Madre di Misericordia, invochiamo lo Spirito Santo, conforto, avvocato, consolatore della Chiesa.
Viviamo uno dei momenti più intimi e belli della nostra vita ecclesiale: vescovo, ministri, religiosi/e, Laici a fare memoria della Pentecoste, gustare le promesse del Signore nella Parola di Dio, disporci ad accogliere il dono dello Spirito, che realizza la comunione e ci predispone alla missione evangelica.
Questa preghiera ci predispone ed incoraggia ad accogliere la misericordia del Padre attraverso i doni dello Spirito, effusi sulla nostra Chiesa, qui significativamente rappresentata da pastori, fedeli, il Santo Popolo fedele di Dio, come lo chiama Papa Francesco nella lettera al card. Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina.
A questa lettera desidero fare riferimento per richiamare anche nella nostra diocesi il significato e il ruolo dei laici.
Presento alcune parole-chiavi della lettera, commentandole brevemente e invitando ad una inversione di tendenza o ad un maggiore impulso per «L’indispensabile impegno dei laici nella vita pubblica»
In questo Anno Santo stiamo camminando sulla strada della comunione e della missione nel segno della misericordia. Ognuno per la vocazione e il carisma proprio siamo operosi nel costruire la comunione e nel dare l’apporto per partecipare alla missione di annunzio del Vangelo

“Guardare al Popolo di Dio è ricordare che tutti  facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che suggella per sempre la nostra identità, e di cui dovremmo essere sempre orgogliosi, è il battesimo. Attraverso di esso e con l’unzione dello Spirito Santo, (i fedeli) “vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo” (Lumen gentium, n. 10). 
Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formiamo il Santo Popolo fedele di Dio”.

“…una delle deformazioni più grandi che l’America Latina deve affrontare – e a cui vi chiedo di rivolgere un’attenzione particolare –, il clericalismo.
Questo atteggiamento non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente. Il clericalismo porta a una omologazione del laicato; trattandolo come “mandatario” limita le diverse iniziative e sforzi e, oserei dire, le audacie necessarie per poter portare la Buona Novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica”.
Dobbiamo sentirci tutti, vescovo, preti, diaconi, religiosi,laici: Santo Popolo fedele di Dio. I laici siano incoraggiati e riconosciuti nelle loro autonomia a portare il Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e politica

La pastorale popolare
“… La pastorale popolare. È stato uno dei pochi spazi in cui il popolo (includendo i suoi pastori) e lo Spirito Santo si sono potuti incontrare senza il clericalismo che cerca di controllare e di frenare l’unzione di Dio sui suoi. Sappiamo che la pastorale popolare, come ha ben scritto Paolo VI nell’esortazione apostolica  Evangelii  nuntiandi, “ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione”, ma prosegue, “se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori”.
“Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, Noi la chiamiamo volentieri ‘pietà popolare’, cioè religione del popolo, piuttosto che religiosità… Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo” (n. 48)”. 
La nostra diocesi è ricca di forme “pietà popolare” o “religione del popolo”: le feste patronali, gruppi e movimenti che aggregano gente semplice ricca dei valori che solo i semplici e i poveri possono conoscere. Piuttosto che osteggiare tali forme, orientiamo mediante una pedagogia di evangelizzazione.

Che cosa significa per noi pastori il fatto che i laici stiano lavorando nella vita pubblica?
“Significa cercare il modo per poter incoraggiare, accompagnare e stimolare tutti i tentativi e gli sforzi che oggi già si fanno per mantenere viva la speranza e la fede in un mondo pieno di contraddizioni, specialmente per i più poveri, specialmente con i più poveri. Significa, come pastori, impegnarci in mezzo al nostro popolo e, con il nostro popolo, sostenere la fede e la sua speranza
Non è mai il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti. Come pastori, uniti al nostro popolo, ci fa bene domandarci come stiamo stimolando e promuovendo la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia. Come facciamo a far sì che la corruzione non si annidi nei nostri cuori.

Molte volte siamo caduti nella tentazione di pensare che il laico impegnato sia colui che lavora nelle opere della Chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi, e abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato nella sua vita pubblica e quotidiana; su come, nella sua attività quotidiana, con le responsabilità che ha, s’impegna come cristiano nella vita pubblica.  Senza rendercene conto, abbiamo generato una élite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in cose “dei preti”,  e abbiamo dimenticato, trascurandolo,  il credente che molte volte  brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede. Sono queste le situazioni che il clericalismo non può vedere, perché è più preoccupato a dominare spazi che a generare processi”.
Significa sostenere la fede e la speranza perché il laico agisca da cristiano nei diversi ambiti della vita pubblica. Il laico impegnato non è colui che lavora nelle cose di preti, di chiesa, della parrocchia, della diocesi

Inculturazione
“È illogico, e persino impossibile, pensare che noi come pastori dovremmo avere il monopolio delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea ci presenta.
L’inculturazione è un processo che noi pastori siamo chiamati a stimolare, incoraggiando la gente a vivere la propria fede dove sta e con chi sta. L’inculturazione è imparare a scoprire come una determinata porzione del popolo di oggi, nel qui e ora della storia,  vive, celebra e annuncia la propria fede. Con un’identità particolare e in base ai problemi che deve affrontare, come pure con tutti i motivi che ha per rallegrarsi. L’inculturazione è un lavoro artigianale e non una fabbrica per la produzione in serie di processi che si dedicherebbero a “fabbricare mondi o spazi cristiani”.
I pastori non hanno il monopolio delle soluzioni alle varie sfide. L’inculturazione “opera artigianale” di una porzione del popolo che vive, celebra e annuncia la fede nel qui e ora della storia. Nella nostra diocesi attraverso un approfondimento del Concilio, del magistero di Papa Francesco riconoscere ai fedeli laici il loro ruolo nella inculturazione delle fede nel qui e ora, specie nei diversi ambiti della vita pubblica: ne abbiamo urgente bisogno. Non per una nostra (dei pastori) concessione di buona volontà,  ma per diritto e statuto proprio. I laici sono parte del Santo Popolo fedele di Dio e pertanto sono i protagonisti della Chiesa e  del mondo; noi siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro.