Celebrazione anniversario dedicazione Cattedrale di Terni e ingresso nuovo parroco don Alessandro Rossini

Cari fratelli e sorelle,
in questo giorno speciale in cui ricordiamo il giorno solenne nel quale questo luogo fu completatoe conscarto a Dio, viviamo un avvenimento importante con l’inizio del ministero pastorale di dona Alessandro.
Vogliamo renderci discepoli e ascoltatori della parola di Dio che ci apre delle prospettive per la nostra conversione e per il nostro modo di rapportarci a Dio e agli altri.
Questo brano del vangelo che abbiamo ascoltato, la parabola del fariseo e del pubblicano, è molto conosciuto ma un po’ banalizzato. Usciamo dalla chiesa con la convinzione che il Signore ha fatto bene a condannare il fariseo presuntuoso e a assolvere il pubblicano. Non ci sentiamo toccati da questa parabola.
Ma a chi si rivolge Gesù?
Gesù racconta questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. Gesù non racconta questa parabola per gli atei e i miscredenti. Gesù è preoccupato perché il lievito dei farisei poteva, e forse stava contagiando i discepoli. Il modo di pensare dei farisei stava entrando nelle convinzioni dei suoi discepoli. Gesù racconta questa parabola per alcuni praticanti, la racconta per noi: per aiutarci a scovare il fariseo che è dentro di noi.
Vediamo nella parabola due personaggi, due mondi diversi e contrapposti, due modi di pregare, due modi di rapportarsi a Dio.
Il Fariseo, comunemente, è sinonimo di persona spregevole e ipocrita. Invece il fariseo nella tradizione ebraica era persona religiosa, osservante, rigida, osservava le tradizioni in maniera rigorosa. San Paolo stesso si dichiara fariseo, della setta dei farisei quella più osservante. Quest’uomo prega stando in piedi (così si pregava), ma non è un’ostentazione.
Il vangelo dice che pregava tra sé: l’espressione greca πρὸς ἑαυτὸν , pregava verso se stesso, auto compiacimento, auto contemplazione. Vuol far verificare a Dio che lui è a posto.
Il ringraziamento va bene, ma perde di senso quando serve per confrontarsi con gli altri: non sono come gli altri: ladri , ingiusti, adulteri.
Non sono nemmeno come quel pubblicano, che era a due passi da lui. Ciò lo pone in un rapporto sbagliato con gli altri e li disprezza.
Un fariseo non avrebbe trovato nulla di riprovevole in quella preghiera e in quella persona, persona retta, onesta, osservante. Non si scorge nulla di riprovevole. E’ orgoglioso, ma non sono colpe gravi. L’aspetto più serio è che per lui Dio è il contabile che tiene che tiene il conto dei suoi meriti. Ecco ciò da cui Gesù vuol tenere lontano i suoi discepoli. Il lievito dei farisei è il rapporto sbagliato del fariseo con Dio.
Invece che il rapporto di chi ringrazia Dio senza meriti per aver ricevuto tutto da lui, guarda gli altri e va a testa alta di fronte a Dio. Purtroppo la spiritualità farisaica rischia di rimanere nella spiritualità dei discepoli.
Dietro di lui c’è il pubblicano, che rappresenta un po’ il peggio della società… esattore delle tasse, appalto delle riscossioni, ma aumentavano le tariffe per arricchirsi, ladri autorizzati e collaboravano con le potenze dominatrici, per questo odiati.
Dicevano i libri sacri degli ebrei: un pubblicano per salvarsi dovevano restituire il mal tolto più il 20 per cento.
Da che parte stiamo? Dalla parte del fariseo, che è forse un modello da imitare?
Il pubblicano è pentito, ma non basta abbassare gli occhi e un semplice atto di dolore, perché deve restituire, riparare!
Quante volte pensiamo secondo la logica del fariseo riteniamo ingiusto il modo di fare di Dio?
Gesù conclude in modo diverso: non è la vita morale del fariseo che è messa in causa, ma il suo rapporto con Dio, il rapporto con Dio che è Padre misericordioso, Dio che riconoscere la nostra fragilità e ci tratta con la sua misericordia, Dio che l’unico che salva col suo amore. Dio dal quale proviene il bene che compiamo e che illumina il volere e l’operare.
La presunzione di essere giusti per i nostri meriti e le nostre forze è il punto di partenza sbagliato che ci impedisce di guardare a Dio come l’Altissimo, l’Onnipotente, il Padre e di guardare gli altri come fratelli deboli, fragili ugualmente bisognosi della misericordia di Dio.

Il pubblicano è fuori strada, si batte il petto, si picchia il cuore sede delle scelte sbagliate.
E prega: “O Dio abbi pietà di me peccatore. Puoi salvarmi solo tu perché mi sono reso conto di essere stato lontano da te”.
Gesù dice nella parabola che il pubblicano è tornato giustificato, si è reso conto della sua posizione, ha dato a Dio l’opportunità di portarlo nella retta via, quella della gioia.
Il fariseo è tornato a casa come prima, con la sua vita retta, ma col suo rapporto con Dio sbagliato. Dio per lui non è un padre, ma un contabile.
Da Dio pretende che riconosca la giustizia che lui si è costruito con le sue mani, ma tutte le sue opere non gli conferiscono la salvezza di cui ha beneficiato il pubblicano.
Questa immagine di Dio crea una barriera tra giusti e peccatori, come fanno i farisei;
è il lievito dei farisei, presente nella comunità dei discepoli e anche nella comunità cristiana, da cui Gesù vuole metterci in guardia.
E’ la nostra fede e il rapporto con Dio che va rivisto e che porta ad accogliere l’amore e la misericordia del Padre e a condividerli con gli altri, con umiltà e fiducia.

Questa celebrazione non riguarda solo don Alessandro. Egli è circondato dai sacerdoti del Capitolo della Cattedrale, dal co-parroco don Gianni, dal parroco emerito don Carlo, dal vice parroco don Giorgio e da tutti noi.
Inoltre ha un senso tutto particolare perché riguarda la Cattedrale e proprio nel giorno della sua dedicazione. La cattedrale è la chiesa matrice, madre generatrice dei cristiani, ed è la madre delle Chiese che sono in Terni-Narni-Amelia. Simbolo ed espressione della Chiesa, Madre-Maestra della fede con l’annuncio del Vangelo e la cura dei credenti. E’ il segno della Chiesa-Santificatrice del popolo di Dio.
I simboli delle funzioni della Chiesa sono l’aula, l’ambone, la sede, l’altare, il vescovo, l’assemblea radunata attorno a lui.
Compito di coloro sono a lei legati giuridicamente e che vi prestano servizio è importante e affidato al Vescovo, il Capitolo, Parroco, CPP, parrocchiani tutti… che hanno il compito di collaborare a questa funzione di insegnare, santificare, governare. Sono custodi della storia e delle tradizioni, del magistero dei vescovi passati della nostra Chiesa. Il nostro compito è essere custodi della bellezza e dell’arte, della preziosità dei sacri paramenti, del canto sacro, soprattutto della preghiera comunitaria e della solennità della Liturgia, svolgere il ministero primario della adorazione a Dio vivente, della evangelizzazione e della santificazione.
Ogni cristiano qui deve sentirsi a casa, a proprio agio, accolto, perdonato, accompagnato verso Gesù, Maria e i santi.
In nessuna chiesa, ma soprattutto nella cattedrale, accada mai di sentirsi respinti, rifiutati, redarguiti.
La gentilezza, la cortesia, l’accoglienza, la carità sono i tratti di questo luogo, proposti dalla comunità della cattedrale, dal vescovo all’ultimo fedele.
La comunità pastorale dovrà portare i fedeli di questo territorio a superare particolarismi e a formerà un cuor solo. Ogni singola parrocchia o chiesa che compongono la comunità pastorale saranno onorate di essere parte della Cattedrale e di prendersi cura di essa e di testimoniare a tutta la diocesi lo stile della comunione e dell’unione fraterna.
Il mio ringraziamento particolare va innanzi tutto a don Carlo che ha guidato questa comunità per tanti anni con entusiasmo e sacrificio e a tutti coloro che hanno curato con passione questa cattedrale, vivi e defunti: il Signore che legge nei cuori poi dà la ricompensa.
L’augurio è quello di iniziare un nuovo capitolo e di essere all’altezza del passato glorioso e di accogliere il futuro che il Signore ci riserva.