La concattedrale di Amelia è dedicata a santa Firmina, la giovane figlia del prefetto dell’urbe Calpurnio, vissuta al tempo dell’imperatore Diocleziano. La Passio del VI secolo narra che Firmina si ritirò dopo la morte del padre nei pressi di Amelia. Ad Amelia convertì al cristianesimo il magistrato Olimpiade e per la sua fede fu imprigionata e condannata a morte. I suoi resti furono rinvenuti nell’XI secolo e depositati nella chiesa eretta in suo onore sulla sommità del colle di Amelia.
L’attuale edificio è il risultato di una pesante trasformazione operata tra il 1630 e il 1639. La ricostruzione si rese necessaria in seguito al disastroso incendio del 1629, che distrusse parte della chiesa medievale risalente all’XI-XII secolo, già fortemente compromessa dalle incursioni delle truppe di Federico II.
L’itinerario di visita parte dal balcone esterno da cui si ammira, tra l’altro, uno dei paesaggi più suggestivi della città e dei colli amerini. Sull’altro lato della strada sulla quale si affaccia la chiesa si può apprezzare il palazzo vescovile, dove soggiornò per un breve periodo san Massimiliano Kolbe e, poco oltre, la piazza ricavata intorno al palazzo del seminario che fa da quinta allo spazio urbanistico dell’acropoli riservato al governo ecclesiastico in cui si alza, per poco più di trenta metri, la torre campanaria. Realizzata nell’XI secolo è oggi uno dei rari esemplari architettonici impostati su pianta dodecagonale, con materiali di spoglio d’età romana e alcuni frammenti lapidei aggiunti nel corso dei secoli tra fregi, lapidi, frammenti di colonne ed infine una seicentesca meridiana. Il registro superiore della canna è decorato da una doppia fila di trifore cieche, sopra le quale si posa la cella campanaria a cielo aperto e oggi visitabile dal pubblico dove si trovano cinque campane di cui la più antica risale al 1626 ed è opera del pavese Giovanni Battista Veneroso.
La facciata, in stile neoclassico con eleborate decorazioni in terracotta recentemente restaurate, è stata realizzata nel 1877 da Francesco Antonini e Luigi Percossi, al posto del precedente fronte rimasto incompiuto durante il rifacimento del Seicento.
Dal 1896, Luigi Fontana avviò il cantiere pittorico teso a coprire con una compagine di stucchi e dipinti murali le pareti interne della chiesa, in vista del XVI centenario del martirio della Santa titolare, trasformando così del tutto quanto rimaneva delle antiche strutture. Il maestro marchigiano realizzò, tra l’altro, i grandi pennacchi della cupola, che ritraggono due finti arazzi in cui sono raffigurati il Discorso della montagna e la Lavanda dei piedi. Sulla volta della navata, invece, il maestro marchigiano realizzò un grande medaglione con l’apoteosi dei santi amerini, in cui si riconoscono Firmina, Olimpiade, Imerio e molti altri, che intercedono sulla città di Amelia abbracciando al contempo il mare di Civitavecchia, città che venera santa Firmina come patrona.
L’interno è a croce latina, con navata unica e profondo presbiterio absidato. Lungo la navata, coperta con un’ampia volta a botte, si aprono cinque cappelle per ciascun lato.
Nella prima cappella di destra, merita attenzione la lastra tombale del vescovo Ruggero Mandosi morto nel 1484, con la figura del defunto, proveniente dall’antica chiesa romanica.
All’ingresso della seconda cappella a destra sono esposti due stendardi di nave ottomana sottratti a una nave turca che faceva scorrerie nel Tirreno e inviati ad Amelia, poiché santa Firmina, venerata anche a Civitavecchia, era, nel frattempo diventata protettrice della flotta pontificia.
Poco oltre si entra nella cappella Farrattini, uno spazio a pianta ottagonale che conserva i monumenti sepolcrali di Baldo e di Bartolomeo Farrattini realizzati da Giovanni Antonio Dosio e da Ippolito Scalza, poi la grande pala d’altare raffigurante la Madonna con Gesù Bambino tra i Santi Pietro e Bartolomeo, opera attribuita a Federico Zuccari.
La cappella successiva ospita due dipinti raffiguranti rispettivamente la scena di martirio di Santa Firmina e di Sant’Olimpiade, attribuiti a Lattanzio Niccoli, che furono realizzati nel 1648, anno della traslazione delle reliquie dei patroni sotto l’altare maggiore. Allo stesso Niccoli si riferisce pure il dipinto con la Madonna del Rosario, commissionato nel 1653 dall’omonima confraternita.
Nel presbiterio si affaccia il grande organo costruito nel 1904 dalla ditta organaria austriaca Rieger su progetto di Filippo Capocci, che riutilizzò la cassa del precedente organo settecentesco. L’organo minore, invece, è un positivo acquistato nel 1635 dal Capitolo che costituisce uno dei pochi esempi tuttora esistenti e perfettamente conservati.
Al centro della tribuna si trova il monumentale altare maggiore realizzato nel 1648 dal vescovo Gauedenzio Poli, che vi racchiuse le reliquie dei santi Firmina e Olimpiade, entrambi ritratti in gloria dal Fontana sul tamburo dell’abside. Lo stesso maestro marchigiano raffigurò all’interno di una cornice dorata apposta sulla parete sinistra del presbiterio l’Interrogatorio di Santa Firmina mentre sui quattro pilastri del tiburio la sua bottega appose le statue in stucco di altri protettori della città: sant’Imerio, sant’Amelia, san Secondo e sant’Olimpiade.
L’itinerario prosegue sul braccio sinistro del transetto che ospita la cappella dell’Assunta. Costruito nel 1623, il vano custodisce il prezioso dipinto su tavola della seconda metà del XV secolo, che ritrae la Vergine Maria contenuta all’interno di una mandorla e trasportata dagli angeli; il simulacro si porta annualmente in processione per la solennità agostana in cui la città festeggia la sua patrona principale. L’icona mariana venne incoronata una prima volta nel 1715, come gesto votivo per lo scampato pericolo del terremoto, che sconvolse l’Umbria nel 1703. Nel 1745 avvenne la seconda incoronazione, quella effettiva, ad opera del Capitolo Vaticano, ma su iniziativa del popolo amerino. All’interno della cappella si possono ammirare due dipinti monumentali del Fontana, realizzati nel 1897, che ritraggono la nascita e la dormitio della Vergine Maria.
Segue la cappella di San Liborio, il santo vescovo di Le Mans, patrono di Paderborn, al quale si deve la guarigione dell’abate Pellegrino Carleni di Amelia, che per riconoscenza ottenne il permesso di trasferire alcune reliquie nella città umbra, che difatti vi giunsero nel 1647; per celebrare questo felice evento fu eretto un altare in cui si può ammirare la pala licenziata da Giacinto Giminiani del 1673 che ritrae lo stesso santo con il consueto attributo delle piccole pietre che denotano la speciale protezione sui calcoli.
Nel vano successivo si apre la cappella che accoglie le spoglie dell’ultimo vescovo della diocesi amerina, Vincenzo Loyali, morto nel 1966 in concetto di santità e per il quale è in corso il processo di beatificazione.
Nell’ultima cappella che andiamo a visitare, la prima a sinistra, è possibile ammirare la raffigurazione di Giovanni Geraldini, vescovo di Catanzaro morto nel 1488, opera della bottega di Agostino di Duccio.
La visita si conclude con una sosta presso la colonnina alla quale, secondo la tradizione, fu legata santa Firmina, patrona di Amelia, per essere martirizzata: in realtà, si tratta di una colonna dell’antica cripta, che esisteva sotto il presbiterio dell’antica cattedrale romanica.