Corpus Domini 2018 – meditazione in piazza della Repubblica dell’Azione Cattolica

La paura o la delusione qualche volta possono avere buoni motivi, ma sempre ingannano la vista. La paura rende ciechi.
I discepoli di Emmaus avevano tanta paura e tanta delusione nel cuore da non riconoscere più quel Gesù che per anni aveva camminato con loro e che ancora, quella sera, camminava al loro fianco, quel Gesù con cui tante volte avevano cenato e che quella sera era a tavola con loro.
È per colpa della paura e della delusione che oggi crediamo che la sicurezza di una città dipenda da mura alte possenti. Per capire da cosa viene la sicurezza e la forza di una città non possiamo affidarci alla paura ed alla delusione, dobbiamo provare a capire cosa c’è al cuore di una città.

«Disse Caino al Signore: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono?” (…) Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato. (…) Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio» (Gen 4, 13-17).
Sin dal libro del Genesi, con il racconto dedicato a Caino di cui abbiamo appena ascoltato qualche parola, le Scritture sante insegnano che la città è impastata anche di male e di delitto, ma insegnano anche che male e delitto non sono l’ultima parola sulla città perché non sono neppure la prima parola sulla città. La città nasce ad opera di un uomo, Caino, macchiatosi della colpa più grave: la uccisione del fratello. Dio prima lo condanna e poi gli concede una grazia: sospende la pena, ne vieta l’esecuzione, gli concede tempo, gli fa dono di nuova vita e di vita nuova. È solo allora che Caino comincia a costruire la città, la prima nel racconto biblico. Questa grazia si rinnoverà e si espanderà (Gen 7ss), dando luogo a lingue, culture, mestieri, saperi, poteri, tutti benedetti da Dio (Gen 10).
Al cuore della città, dunque, di ogni città, non vi è la maledizione, ma la benedizione; non vi è il male ed il delitto, ma l’amore e la misericordia. Dio consente e dona la città perché gli uomini e le donne camminino nella libertà verso la vita; perché la varietà fiorisca e con essa si possa sperimentare il piacere, e non solo il bisogno, della relazione; perché agli uomini ed alle donne sia donata altro tempo per poter ricominciare. Dio ci perdona, infatti, anche donandoci altro tempo (cfr. 2Pt 2, 14). Le differenze e le varietà che Dio sostiene, vivifica e protegge sono un segno della sua infinita grandezza e del fatto che già in Lui la verità sta nella relazione – come intravediano nel grande mistero della Trinità –.
Tutto questo da ciascuno e ciascuna di noi può essere sperimentato e vissuto nella città e come città. Sino al punto che il compiersi del Regno di Dio, quello di una gioia senza fine, viene annunciato dai profeti come il dono di una città preziosa e spendida: «E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo» (Ap 21, 1-2a).
Ogni città è parabola del Regno.

Ogni tanto, però, qualcuno grida: «venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra» (Gen 11, 4). È il programma di Babele: orgoglio, prepotenza di un potere su tutti gli altri, negazione della varietà e delle differenze, mura e torri alte fino al cielo e ostacolo ad ogni scambio con l’altro. La Bibbia ci ammonisce: il programma di Babele «non è impossibile» (Gen 11, 6) e conduce alla distruzione (Gen 11, 8). Il programma di Babele fa precipitare la città nel dolore e nel delitto, nella paura e nella povertà.

Quel Gesù che non è rimasto nel deserto ma ha abitato e percorso le città, che ha camminato per le nostre strade ed ha condiviso la tavola, che ha donato la sua vita per amore ed il cui amore ha vinto la morte, ancora oggi, in ogni oggi ed in ogni città, mette i suoi passi accanto ai passi di chi cammina, le sue mani nelle mani di chi lavora, Gesù ascolta e parla (GS 22), sulle nostre tavole Gesù mette il Suo Pane ed il Suo Vino accanto al nostro pane ed al nostro vino. Così, ancora oggi il corpo ed il sangue con cui ha amato ed ama ci sostengono.
Gesù Eucarestia non conquista le città, ma le rialza e le rinnova.