San Giovenale 2025

Carissimi fratelli e sorelle, in questo giorno solenne della festa del santo patrono Giovenale, ci vengono presentate dalla liturgia delle letture straordinarie affinché, guardando San Giovenale possiamo adeguatamente cogliere l’impulso divino per rendere sempre più bella la nostra vita.
Innanzitutto suggerirei di fissare la nostra attenzione sulla prima lettura. In questo brano abbiamo sentito un discorso accorato di san Paolo.
L’apostolo si trova a Mileto e da qui manda a chiamare gli anziani della chiesa di Efeso perché ha una consegna da affidare. Si tratta di un discorso molto bello e commovente anche perché, a un certo punto, Paolo dice che non lo avrebbero più rivisto; per cui l’emergenza data da questo fatto, porta l’apostolo a riferire delle cose importanti: una sorta di testamento pastorale.
Il termine vigilare, che abbiamo sentito ripetuto due volte, costituisce il fulcro di tutto il discorso.
Dinanzi agli attacchi del maligno sulla comunità dei credenti è necessario da parte dei pastori (…) vigilare.
Paolo non suggerisce una particolare strategia da adoperare, ma raccomanda di vigilare: “vigilate su voi stessi e su tutto il gregge….”
Vigilare significa stare attenti, stare in guardia. Ma rispetto a cosa o a chi? Paolo dice: “Vi affido a Dio e alla parola di grazia”.
La vigilanza di cui si parla, dunque, come se fosse una sorta di segnaletica, ha come punto di riferimento, Dio e la sua Parola.
Cari fratelli e sorelle essere cristiani significa mettere in pratica questa vigilanza, stando attenti… avendo come punto di riferimento costante la Parola di Dio.
Forse dovremmo ammettere di aver perso o messo da parte questo criterio; probabilmente lo abbiamo dato per scontato e quindi siamo arrivati a costatare che non lo si mette più in pratica. Cerchiamo dunque di ricuperarlo con l’aiuto di san Giovenale.
San Giovenale, pastore di questa Chiesa, insieme ai pastori delle chiese fondate da san Paolo, ripete a noi quanto abbiamo pregato nel salmo: “Il Signore è il mio pastore”, per questo non manchiamo delle cose essenziali e necessarie, quindi non manco di nulla.
Certo, precisa e sottolinea ancora san Paolo nella seconda lettura, “abbiamo ricevuto questo grande tesoro nei vasi di creta” della nostra esistenza! Ma proprio per questo sarà ancor di più necessaria la vigilanza.
Il tesoro della pienezza di vita è il Vangelo di Cristo.
L’inverso, ossia il vuoto della vita è causato proprio dalla sua assenza.
Carissimi fratelli e sorelle, davanti al vuoto o alla banalità delle innumerevoli offerte che ci vengono quotidianamente poste innanzi, sulle quali ci si butta a capo fitto cercando di acchiapparne il più possibile, abbiamo la capacità di fare adeguato discernimento, ossia la capacità di scegliere il bene e rifiutare il male; quello che nutre la nostra vita da ciò che la inquina, annacqua, intossica e danneggia.
Queste offerte sono infinite, come ben sappiamo. L’offerta della vita vera invece è solo una, come una è la vita stessa: Gesù Cristo, il suo Vangelo. Dico Gesù e il suo Vangelo e non l’idea che spesso ci si costruisce. Gesù, l’incontro e l’amicizia con lui.
Gesù, nella cosiddetta preghiera sacerdotale che abbiamo sentito nella proclamazione del Vangelo, ha pregato per noi, perché siamo in comunione tra noi e con la Trinità.
Questa preghiera è costruita con una serie di segni che, rimarcandone tutta l’intensità, ci trasmettono un metodo affinché le nostre parole espresse durante la preghiera abbiano pieno significato.
Il segno principale è dato dal modo con cui Gesù si esprime, potremmo dire dalla postura del suo corpo: “Alzati gli occhi al cielo”.
Non dovremmo mai dare per scontato questo particolare, infatti spesso le nostre preghiere risultano più che altro rivolte in basso, volano a bassa quota oppure si perdono nei bassi fondali del nostro navigare quotidiano.
Gesù solleva gli occhi al cielo, cioè si rivolge al Padre, ma il suo sguardo non si perde nel vuoto; si inoltra invece quasi a penetrare ogni nube ingombrante per presentare la sua accorata richiesta al Padre.
E questa preghiera non è fatta di sole parole quanto piuttosto sono la descrizione della sua offerta sacerdotale.
In questo respiro vitale si colloca la persona, la figura e l’operato del nostro santo patrono Giovenale
Egli era un giovane medico originario di Cartagine, arrivò a Roma durante il pontificato di papa Damaso e da lui venne mandato a Narni nel 368 come Vescovo per confermare nella fede la comunità cristiana già evangelizzata dai vescovi Terenziano, Feliciano e Valentino.
Egli fu il primo Vescovo della nostra Chiesa di Narni. Fu martirizzato il 3 maggio sulla via Nomentana, insieme a Evenzio, Alessandro e Teodulo.
La sua memoria è ricordata sin dai più antichi martirologi che lo commemorarono come Vescovo e confessore.
San Gregorio Magno nei “Dialoghi” e nelle “Omelie” ricorda Giovenale, Vescovo di Narni con il titolo di Martire.
E la vita di Giovenale, allo stesso tempo, fa trasparire ed emergere la vita stessa di Gesù, che ci viene donata come seme piantato, morto e risorto, frutto abbondante per la vita del mondo.
San Giovenale arriva fino a noi e noi siamo il frutto del suo ministero, del suo apostolato; perciò, specialmente in questo anno santo dobbiamo vederlo in noi come l’espressione di speranza certa.
Ci sia dunque sempre di supporto nella vita, nella preghiera, nel lavoro, nello svago, nella salute e nella malattia; in ogni età.
Specialmente in questo tempo storico, così complesso per una serie di problematiche…, abbiamo la felice opportunità di essere noi, ciascuno di noi il seme fecondo della presenza di Dio, della testimonianza tramandataci da s. Giovenale per intravvedere ed assaporare il gusto della vita nuova che germoglia nella misura in cui ci si abbevera alle sorgenti della salvezza.
In tutto questo ci sia di aiuto la materna presenza di Maria Santissima, Madre della Chiesa, regina della famiglia e di tutti i santi.