Nella Cattedrale di Terni gremita da centinaia di fedeli, domenica 14 ottobre, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, ha celebrato il rito di apertura dell’Anno della Fede nella diocesi di Terni Narni Amelia, insieme al clero diocesano, ai catechisti e operatori pastorali ai quali è stato conferito il mandato di annunciare il Vangelo nelle proprie comunità parrocchiali, nell’attuare il dinamismo di una fede annunciata, celebrata, vissuta, pregata.
«Questo anno segna un legame con tutte le chiese del mondo – ha detto mons. Paglia – e ci chiede di superare quella desertificazione spirituale di cui ha parlato papa Benedetto XVI. L’anno della Fede è un inizio per cambiare il mondo, è una missione per tutti per divenire ancor più sale, lievito e luce dell’amore di Gesù”. Se al contrario lasciamo avanzare solo il deserto spirituale è in pericolo tutta l’esistenza, a cominciare dalla società, ai nostri rapporti personali, dall’economia, alla famiglia».
L’arcivescovo Paglia a questo proposito ha ricordato anche la particolare situazione che sta vivendo la città di Terni con la nuova vertenza che interessa l’acciaieria: «Quello che sta accadendo a Terni – ha detto l’arcivescovo Paglia – non è slegato dal deserto spirituale, che è poi ciò che porta ciascuno a pensare a se stesso e ai propri interessi, magari vestiti anche di giustizia, ma che generano disuguaglianze e conflitti. Non possiamo non continuare con grande tenacia, come fatto in passato, a difendere questo tesoro incalcolabile per la nostra città, un’industria di valore e che dà lavoro a migliaia di famiglie. Lo faremo insieme, coesi, in ogni modo possibile e in ogni sede idonea».
Nella sua omelia Paglia ha esortato tutta la comunità diocesana a vivere con pienezza e operosità l’Anno della Fede: «Un anno in cui i cristiani devono riscoprire la forza della fede. Quando i cuori sono insecchiti, allora la fede deve essere molto più robusta. C’è anche bisogno d’irrobustire le nostre famiglie in ogni modo, specie in Umbria una terra dove sono molti di più gli anziani che i giovani. Il futuro dipende da una famiglia che sappia generare speranza e che abbia maggiore audacia nel costruire progetti di vita».
Prima della celebrazione in Cattedrale, nella sala conferenze del Museo diocesano di Terni si è tenuta l’assemblea ecclesiale: “Il popolo di Dio in cammino nella storia” che ha dato inizio all’anno pastorale diocesano ricordando i 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Una riflessione sulla storia di un evento cha ha segnato il mondo contemporaneo, che ha ridato una speranza nuova alla Chiesa e «che resta – ha detto mons. Paglia – la bussola che ha indirizzato questi ultimi cinquanta anni della Chiesa. Mentre il mondo era lacerato dalla guerra fredda e dal rischio della distruzione atomica, papa Giovanni XXIII radunò 2500 vescovi da tutto il mondo. Il Concilio è stato per la chiesa e per il mondo una pentecoste straordinaria.
E’ importante oggi rileggere i documenti conciliari mentre i tempi sono cambiati, il potere si è più parcellizzato, diversi sono i centri di comando, è cambiata la cultura e la sensibilità. Tuttavia le ispirazioni del Concilio ci aiutano a capire ancora di più il mistero della chiesa. Noi siamo il popolo di Dio, ma corriamo un rischio che è quello proprio del cristianesimo contemporaneo di aver costretto la fede all’individualità, di aver piegato la religione al proprio benessere. Dobbiamo riscoprire invece – ha aggiunto il vescovo – l’indispensabilità della comunità, della comunione universale dei credenti. Noi siamo un popolo non delimitato dai confini, che non si riconosce per la lingua o i costumi, ma per la celebrazione della domenica. Questo è ciò che ci distingue, ovunque nel mondo, senza separarci, ma forti dell’amore che non conosce confini».
Ad illustrare il senso comunitario posto come elemento fondante del Concilio è stato don Gianni Colzani che nel suo intervento ha ricordato la necessità di «riconquistare una visione relazionale della vita e ritrovare una comunione che abitui a pensare e vivere secondo una prospettiva comunitaria. L’individualismo è una concentrazione su se stessi e sulla propria affermazione, incapace di vivere e gioire dei momenti comunitari se non per quel tanto che si riflettono sul proprio vantaggio. Contraria alla comunità cristiana, questa interpretazione della vita è contraria alla storia della salvezza come ricordano i primi cristiani quando sostenevano che nessun credente può vivere una individuale comunione con Dio, fine a se stessa: unus christianus – amavano dire – nullus chrìstianus. La Chiesa è popolo di Dio e lo è nella pienezza di una vita e di una missione comunitaria. Questo nostro tempo è un tempo impegnativo ma importante per chiunque voglia vivere il vangelo. Questo è un tempo che, dai cristiani, non accetta apparenze o mediocrità, ma esige profondità, responsabilità del servizio che sono chiamati a svolgere nella storia di oggi».
Al termine della celebrazione l’arcivescovo ha consegnato a tutti i presenti una raccolta dei documenti conciliari.