Celebrazione 40° anniversario visita papa san Giovanni Paolo II all’acciaieria e alla città di Terni

Introduzione.
Un caro saluto al popolo di Dio, “di questa operosa città di Terni” convenuto in questa piazza nel cuore delle Acciaierie, che oggi assume i contorni di Chiesa, santa convocazione per celebrare l’Eucarestia. Un deferente saluto alle autorità civili e militari, ai sacerdoti, ai diaconi, a tutto il mondo del lavoro.
La festa dell’Ascensione del Signore ci rallegra perché, mentre, come gli apostoli, teniamo lo sguardo orientato al cielo, sappiamo che Gesù è presente in mezzo a noi, compagno di viaggio e alleato nelle lotte contro il male, gli egoismi e i limiti di ogni natura.
Disponiamoci a rinnovare e rivivere i sentimenti di festa e di gioia di 40 anni fa in compagnia di san Giovanni Paolo II e a raccoglierne i messaggi di speranza, attuali ancora oggi nel tempo de covid.

OMELIA

La memoria grata per la visita del papa santo, Giovanni Paolo II, avvenuta 40 anni fa (19 marzo 1981), e l’attualità dei messaggi allora affidatici ha suggerito la celebrazione eucaristica di questa sera.
Avremmo voluto rinnovare con papa Francesco quell’evento indimenticabile e il Santo Padre aveva manifestato interesse in tal senso, ma la pandemia ha ridimensionato e rallentato i nostri sogni e progetti. Ci siamo orientati a programmare il tutto con ciò che le norme di contrasto alla pandemia Covid 19, ci consentono: dibattiti e riflessioni on line, con esperti e rappresentanze sindacali, sui temi del lavoro, cominciando dai giorni della festa di san Valentino, quale momento di espressione identitaria del popolo e della Chiesa; la celebrazione nel giorno del quarantesimo, con la Messa di commemorazione nella Cattedrale nella festa di san Giuseppe 2021, insieme alle Istituzioni, ai responsabili e rappresentanti delle Acciaierie, del mondo del lavoro, ai cristiani e a cittadini comuni; e infine, la Celebrazione Eucaristica odierna, nel luogo rappresentativo di questa città, dove oggi si mescolano sudore, fatica, memoria, ideali, speranze e aspirazioni, nel pane e nel vino, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, simboli dell’esistenza, con la presenza di Cristo divenuto egli stesso pane, cum panis, compagno di ogni esistenza, di ogni società, di tutti i tempi e luoghi.
La Messa, con il rispetto di tutte le norme anti covid-19, è l’unica manifestazione di popolo consentita in questo momento. E noi, Istituzioni civili e religiose, governance e tutto il mondo delle Acciaierie, non abbiamo voluto rinunciare a ritrovarci per celebrare qui all’aperto, nello stesso luogo, teatro principale dell’evento di 40 anni fa.
Quel papa, che strinse migliaia di mani, che trascorse un’intera giornata, gran parte in questo luogo, che volle condividere le dinamiche del lavoro delle Acciaierie, con gli “Uomini del lavoro”, (come li chiamerà nell’enciclica “Laborem exercens”), ma anche le pene, le speranze e le gioie di questo popolo, oggi è santo della Chiesa. I segni da lui posti, i dialoghi e i discorsi pronunciati alle autorità, al Consiglio di fabbrica, a tutti i lavoratori, alla città… sono diventati patrimonio della nostra identità e monito e incoraggiamento anche per i nostri giorni.
Alcune perle di quelle parole sono state raccolte per voi nel libretto che avete tra le mani.

E papa Francesco, vivamente interessato alla nostra città e alla nostra diocesi, ha voluto farsi presente con un messaggio in questo momento, offrendoci la sua parola, il suo incoraggiamento e la sua benedizione in questo tempo di pandemia, che purtroppo è tutt’altro che terminato e continua a seminare sofferenze, lutti, e pesanti disagi di natura psicologica, sociale ed economica.
Le varie quarantene causate dalla pandemia: quella del lockdown, quelle delle zone rosse, quelle fiduciarie, quelle obbligatorie, hanno consentito una seria riflessione sul senso dell’esistenza, su come superare la terribile epidemia e i mali, che continuano a mietere migliaia di vittime e disagi. Il mondo, immagine e primizia del giardino dell’Eden e casa comune dell’umanità, spazio vitale dell’operosità, dell’ingegno e degli affetti personali, famigliari, amichevoli, sociali e universali, purtroppo si appresta a diventare caverna insicura, instabile, umida, in balia di continue perturbazioni, di belve selvagge, voraci e velenose, quasi cimitero sconfinato che genera sconforto e disperazione a tutti noi che ci sentiamo superstiti smarriti.

Il disegno di Dio per l’umanità, delineato nel libro della Genesi è ricco di prospettive:
“Dio benedisse l’uomo e la donna e disse loro:
“Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela,
dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente che striscia sulla terra”. (Gn 1,28)
La madre terra, così chiamata dalla mitologia e dalle nostre precedenti generazioni, considerata sorella da san Francesco, è stata affidata alla custodia e cura feconda dell’uomo. Ora sta perdendo la dimensione di luogo di ospitalità e va assumendo quella di luogo della ostilità e della distruzione a causa dello sfruttamento insensato a cui viene continuamente sottoposta da comportamenti incoscienti di uomini e leggi.

L’odierna memoria celebrativa assume un carattere particolare di speranza per la coincidenza della Festa dell’Ascensione: Gesù Risorto, Colui che ha vinto le tenebre della morte e soprattutto ha vinto l’odio con l’amore, col dono della propria vita, ha segnato l’inizio di una nuova creazione e di una rinnovata missione. Ha soffiato sugli apostoli l’alito di vita, donando loro lo Spirito Santo e riaffidando all’uomo il compito di rinnovare la terra. “Andate in tutto il mondo, proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15).
La lieta notizia annunciata dal Vangelo è che l’uomo ha in sé energie e abilità per custodire il mondo; l’uomo, con l’aiuto di Dio può trasformarsi in artigiano responsabile di giustizia, di concordia, di pace, ispirandosi all’amore, al perdono, testimoniato da Gesù.
Papa Francesco, nel messaggio indirizzato alla nostra città e alle Acciaierie, in questa circostanza, ribadisce alcune consegne fatteci 40 anni fa da san Giovanni Paolo II, aggiornandole col tema, a lui caro, della custodia della casa comune.

“Il vostro territorio, poi, deve affrontare sfide ancora più preoccupanti a causa di prospettive lavorative che generano un clima difficile e incerto. In tale contesto tutti sono chiamati ad un rinnovato e profondo senso di responsabilità, dando prova di solidarietà e di condivisione. E’ necessario adoperarsi con sollecitudine affinché le istanze etiche e i diritti della persona mantengano il primato su ogni esigenza di profitto.
Il lavoro è una vocazione, perché nasce da una chiamata che Dio rivolse fin dal principio all’uomo, perché “coltivasse e custodisse” la casa comune (cfr Gen 2,15). Lavorare è la prima vocazione dell’uomo, una vocazione che dà dignità all’uomo. Tutti sono chiamati a non sottrarre alle persone questa dignità del lavoro!
Pertanto, esorto quanti sono coinvolti, a vario titolo, nel mondo del lavoro e dell’impresa, ad adoperarsi non solo perché il lavoro sia opportunamente tutelato, ma anche perché si attuino valide politiche sociali in favore della persona e della sua professionalità”.
In questa celebrazione “giubilare”, mentre siamo ancora nel tunnel della pandemia del Coronavirus, invito tutti a cogliere segni di speranza in tre “amici” che vegliano dall’alto sulle nostre città e che ispirano progetti di rinnovamento.
Innanzitutto guardiamo la testimonianza di san Giuseppe lavoratore, uomo dei sogni, padre disinteressato e generoso, lavoratore operoso, efficace e creativo, custode della sposa Maria, del figlio Gesù, coerente con la missione di cittadino, definito uomo giusto, patrono della Chiesa universale. Lui è di casa in questo luogo di operosità, creatività e solidarietà umana.

Non possiamo non avvertire tra di noi la presenza spirituale, direi quasi fisica di san Giovanni Paolo II, che ha calcato questi luoghi, ha avuto parole appropriate per tutti, ha compiuto gesti di benevolenza, ha pregato con noi e per noi.
Le parole pronunciate da san Giovanni Paolo II in questa piazza furono di grande incoraggiamento e altissimo significato orientativo per lavoratori e imprenditori; esse suonano di estrema attualità ancora oggi. Molte di quelle parole si ritrovano nella enciclica sul lavoro Laborem exercens, pubblicata il 14 settembre 1981.

Infine voglio ricordare un umile cittadino ternano, il venerabile Giunio Tinarelli (1922-1956), già operaio in questa fabbrica, ma soprattutto cristiano che ha vissuto con coraggio, pazienza e intraprendenza la sua missione di uomo, di lavoratore, poi di malato affetto da poliartrite anchilosante, di apostolo che ha dato speranza a migliaia di persone alle prese con i problemi della disoccupazione, della salute, della fede. Oggi egli è venerabile e noi auspichiamo che presto venga proclamato santo.

In questo delicato momento della storia della nostra nazione, alle prese con una crisi senza precedenti e proiettata verso la ripresa confidando sui fondi europei, avverto il bisogno di rivolgere un appello a Istituzioni, mondo politico, Imprese, sindacati, società civile e alla comunità ecclesiale per unire ogni sforzo di ingegno e di responsabilità. Un invito a superare egoismi e visioni di parte, per pensare e promuovere progetti per le future generazioni, la Next Generation della nostra Umbria e del territorio di Terni-Narni-Amelia. Non restiamo a guardare, né lasciamoci prendere dall’accidia o dagli istinti avidi di insensato accaparramento, che distrugge i singoli e la comunità intera.
La nostra preghiera questa sera mira e invocare coraggio, intraprendenza e dedizione generosa verso il prossimo, verso il futuro di questa azienda e di tante altre in grave difficoltà.
Non dubito che, con l’aiuto di Dio, la buona volontà e l’impegno di tutti, riusciremo ad essere degni continuatori di tanti uomini e donne, esempi fulgidi della società civile, santi e cittadini comuni, dediti a compiere il proprio dovere quotidiano, nel promuovere la crescita e lo sviluppo materiale, culturale e spirituale del nostro popolo e delle nostre città.