Commemorazione dei defunti 2014

Nel solco della Memoria: il ricordo delle persone care non ci lascia mai: ove è più forte, ove è più sbiadito.
Rende più lieve il dolore del distacco, contribuisce a custodire e ad accrescere quel bagaglio-tesoro che i nostri cari, coloro ai quali abbiamo voluto bene ci hanno consegnato ed affidato in eredità. Una eredità viva che va incrementata per assolvere il nostro dovere verso la storia.
Fare memoria dei nostri defunti significa alludere a quella forza unificante di Dio che ci raccoglie alla mensa del suo amore, dove tutti siamo invitati. Significa fondare la nostra speranza nel suo amore salvatore e misericordioso, oltre il dolore della separazione. La liturgia di oggi suscita un grande senso di solidarietà umana. Non si tratta solo di tenere viva la memoria dei propri cari, ma di fare esperienza di una solidarietà in umanità che gli affetti sanno custodire.
È qualcosa che rivela la percezione di una realtà misteriosa, ma potente, coinvolgente, insopprimibile. La radice è nel brano del giudizio finale narrato da Matteo.
Le letture di oggi definiscono i salvati come “nel riposo” di Dio e si prega perché i defunti, coloro che ci hanno preceduto nel regno di Dio, godano il ‘riposo’ di Dio. Quel ‘riposo’ allude al compimento di un atto di creazione particolare. Nel primo racconto della creazione, nel libro della Genesi, il testo dice che, dopo aver creato tutte le cose: “Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto”. Se i sei giorni precedenti non sono bastati a completare il lavoro, che cosa allora è stato creato il settimo giorno? La ‘menuchà’, la tranquillità, la serenità, la pace e il riposo, rispondono gli antichi rabbini (cf. Gen Rabbà, 10, 9). È lo stato in cui non vi è contesa né lotta, né paura né diffidenza; è felicità, pace e armonia; vita del mondo futuro, vita eterna. Proprio secondo la promessa di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28) e soprattutto “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34).
E la particolarità della liturgia di oggi è data dal fatto che la chiesa supplica il suo Signore perché quel riposo sia condiviso da tutti i suoi figli, che intercede presso di lui per tutti loro, fiduciosa nella misericordia immensa di Dio che si è dato pena per i suoi figli, nessuno escluso.
Nella fede cristiana questa memoria diventa presenza: Nella preghiera, nella celebrazione dei sacramenti, specie nell’Eucarestia si rende presente a noi Gesù Cristo e tutti coloro che a lui sono uniti e in lui sono morti. Il tempo della nostra vita corrisponde ai giorni della creazione: Dio affida all’uomo, a ciascuno, alla comunità umana, alle nostre società la trasformazione nell’armonia, nella bellezza e nella perfezione il mondo del cosmo, della terra delle persone, delle relazioni.
Purtroppo tale opera è inquinata dall’egoismo, dall’avidità, dalla sopraffazione. Il progetto di Caino spesso sovrasta la mansuetudine e la pietas di Abele fino alla distruzione e alla morte di ciò che ha creato Dio, dell’uomo immagine del Dio vivente.
Sperimentiamo anche ai nostri giorni, sperimentiamo nel mondo e nella nostra terra la violenza generata da criteri e gesti di avidità e di sopraffazione. E così l’opera armoniosa della creazione viene distrutta dall’ingordigia, dalla cattiveria e dal peccato.
Nella riflessione che ci accompagna nel nostro pellegrinare in questo luogo, insieme alla Memoria, alla riflessione sulla fragilità dell’esistenza, si affianca la Speranza e la Responsabilità: La nostra vita, che è pure collaborazione all’opera di Dio e preludio gioioso del “riposo” di Dio, non finisce qui.
Ce lo garantisce Gesù Cristo che è morto, ma è anche risorto. Su di lui si fonda la nostra speranza della vittoria del bene sul male e della vita futura di ciascuno di noi e quella di coloro che sono morti, che qui riposano e in Gesù sono ancora vivi.
Gesù ci dice nel Vangelo di Matteo che il futuro della nostra esistenza sarà determinato dalla qualità della nostra relazione con il prossimo, dai gesti concreti di misericordia, le opere di misericordia spirituale e corporale, della collaborazione all’opera della creazione compiuta da ciascuno.
Gesù è presente in chi si relazione agli altri con misericordia, in chi ha bisogno di aiuto e perciò ritiene fatto a sé ciò che si fa agli altri uomini, che sono suoi fratelli.
Da questo luogo della pietà e della memoria, l’attenzione e la responsabilità particolare di questo momento è la vicinanza a chi è in ansia per il suo futuro: giovani, disoccupati, malati, disagiati di ogni genere. Ognuno è chiamato a servire Gesù nei suoi fratelli per ciò che può.
Si aggiunge l’impegno a custodire l’eredità che ci hanno lasciato i nostri cari: il patrimonio umano e spirituale, l’identità della nostra città, operosa, creativa, solidale, onesta e cristiana.
L’eredità che i nostri cari defunti hanno con ingegno costruito e che ci hanno lasciato, oggi siamo qui per leggerla e per accoglierla. Nella libertà e nella serena creatività vogliamo disegnare il nostro futuro, rendendo onore a coloro che con la laboriosità, l’onestà, la fede ci hanno preceduto e sono di esempio per tutti noi.
Concludo con un pensiero di Paolo VI, tratto dal suo testamento: “Dinanzi alla morte, al totale e definitivo distacco dalla vita presente, sento il dovere di celebrare il dono, la fortuna, la bellezza, il destino di questa stessa fugace esistenza: Signore, Ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, ed ancor più che, facendomi cristiano, mi hai rigenerato e destinato alla pienezza della vita”.
Maria Santissima, il nostro patrono san Valentino e tanti nostri santi concittadini, che vivono in Dio ci siano di aiuto ad apprezzare il dono della vita e a rendere grazie a Dio per i giorni che trascorriamo insieme in questo tempo insieme difficile ed entusiasmante.