“Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”.
Carissimi fratelli e sorelle questa affermazione del salmo che abbiamo pregato richiede ci si debba soffermare un istante; prima di tutto per comprenderne il senso e poi per poterlo ben applicare alla nostra vita.
Quando nel linguaggio corrente si dice alzare il calice, si intende compire un gesto più o meno solenne e importante entro un contesto profondamente significativo. Nelle nostre culture, si solleva il bicchiere in occasione di una festa per brindare, e quindi augurare qualcosa di bello, di positivo, di desiderabile.
Il salmo che abbiamo pregato ci esorta ad alzare un calice speciale, tanto speciale che ha anche un nome: “calice della salvezza”.
Come prima considerazione, mi verrebbe da pensare che al calice della salvezza si oppone un calice che non è tale, cioè un calice della non salvezza.
Questo calice, quello che non porta alla salvezza ma alla distruzione e morte, purtroppo è presente in tutte le società, in tutte le culture e a tutti i livelli. È presente in modo dilagante un po’ dappertutto. Si alza questo mortifero calice ricolmo di male facendolo passare per qualcosa di bene, spesso anche corredandolo con i più sacri principi e diritti; spesso purtroppo sempre e solo a discapito e danno dei più poveri e indifesi.
Perciò si potrebbe dire che si brinda alla violenza, si augura la brutalità e la discordia e, passando attraverso la falsità, si arriva infine alla guerra e quindi alla morte.
Di fronte a tutto questo, la parola di Dio ci offre una via di fuga; ci offre la via e il metodo per poter trasformare un tale disastro in salvezza. Questo consiste nell’invocare il nome del Signore, cioè affidarsi a lui, il quale ci offre questo calice, questo strumento di vittoria conquistata soltanto da lui e che desidera condividere con noi; che desidera cioè sia nostra questa salvezza. Perciò ci invita ed esorta a farlo vedere, a mostrarlo questo calice, quasi ad esporlo affinché sia ben considerato, perché sia il contenitore che ha in sé la salvezza. Il calice della salvezza, ossia la salute totale della persona, la salvezza del genere umano si ottiene attraverso questo metodo, messo in risalto dai verbi alzare e invocare: Alzare il calice della salvezza e invocare il nome del Signore.
Non si può avere l’uno senza l’altro, prova ne è il fatto che anche quando si invoca il nome del Signore ma senza prendere il calice della salvezza si rischia di strumentalizzare lo stesso Dio, per fini contrari alla salvezza, arrivando perfino a teorizzare quanto di più blasfemo possa esserci: la guerra, facendola addirittura far passare per santa. Questo avviene un po’ dappertutto; anche nei nostri contesti intra-ecclesiali ogniqualvolta, prescindendo dalla fatica di tenere unita la comunità, si preferisce il comodo ed egoistico vagare per la propria strada; quando cioè non si costruiscono percorsi di comunione; quando al dialogo si preferisce lo scontro; quando alla pacatezza si oppone l’arroganza; quando la verità -pur sacrosanta- viene imposta e non proposta; quando il proprio pensiero o punto di vista non lascia spazio alla ricchezza di quanto l’altro ha da offrire.
Si rende perciò necessario e urgente da parte nostra, direi di tutti, un atto di purificazione che, partendo dalla domanda-risposta di Gesù ai figli di Zebedeo: “Potete bere il calice che io sto per bere…” ci faccia ricollocare nella giusta strada del percorso pasquale, del percorso sinodale, del percorso giubilare di “pellegrini di speranza”, che con Gesù –unico Salvatore del mondo- conduce al Calvario e al sepolcro e da qui alla vita nuova della risurrezione. A tale proposito e in riferimento al perdono di Dio mediante l’Indulgenza, mi piace qui riportare un significativo passaggio della Bolla di indizione del Giubileo. Scrive il Papa: “Tale esperienza piena di perdono non può che aprire il cuore e la mente a perdonare. Perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta. Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora solcati da lacrime”. Tutte le immagini che ancora si potrebbero richiamare, convergono in quel momento cruciale, decisivo, apicale che abbiamo sentito nel Vangelo proclamato secondo la redazione dell’evangelista san Marco, nella cui circostanza il Signore Gesù “Prese un calice e rese grazie e lo diede loro e ne bevvero tutti. e disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti…”
L’ultima Cena del Signore con gli apostoli rimanda ed anticipa il sacrificio d’amore sulla croce e consegna alla Chiesa il sacramento della salvezza; il calice della salvezza appunto, affinché bevendo ad esso e invocando il suo nome, cioè affidandoci totalmente a lui, nutrendoci di lui e vivendo di lui otteniamo la salvezza ed anche facendo come lui ha fatto; rendendo così vera l’espressione: “Fatte questo in memoria di me”.
Carissimi fratelli e sorelle, la festa del Corpo e Sangue del Signore Gesù esorta tutti ad avere il coraggio di accedere alla salvezza che solo il Signore può dare, e anche avere Il coraggio e la costanza nel permanere in questo stato salvifico di Grazia. Il Vangelo infatti ci dice che Gesù ha bevuto questo calice, intendendo che ha profuso tutto il suo amore, perseverando sino alla fine; non solo facendosi inchiodare sulla croce (come se non bastasse) ma rimanendovi. Non sembri banale e neanche assurdo affermare e rimarcare questo, infatti proprio in quel momento della sua passione egli ha affrontato e superato l’ultima prova ben messa in evidenza dalle parole di scherno di coloro che assistevano o che passavano sotto la croce: “Ha salvato gli altri, salvi sé stesso, scenda dalla croce e noi gli crederemo”.
La festa del Corpus Domini ci esorta anche ad avere una fiducia sconfinata in tutto questo, per il semplice fatto che il sangue da lui versato non è invano, non è andato perduto, ma raccolto nel calice, in quel calice della cena, della Mensa Eucaristica ed è oggi nella Messa, nella Eucaristia, per la nostra salvezza. Se questo non avviene nella vita delle persone, se questo non avviene nella nostra vita è perché noi ci intestardiamo rifiutando la salvezza. Roba da matti! si potrebbe dire: ti si offre una possibilità così unica e tu non ne approfitti? Ci dovremmo rassegnare a un tale modo di considerare le cose? Lo avevano ben capito i cristiani di Abitene, una città della Tunisia, nell’anno 304 durante l’imperatore Diocleziano, i quali vennero minacciati di morte qualora avessero perseverato nel celebrare la Domenica. A questa minaccia essi risposero dicendo, ammazzateci pure infatti “Sine dominico non possumus”, cioè: “Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore”; in altre parole: la nostra vita non avrebbe alcun senso senza l’Eucaristia. Mi chiedo perciò: è possibile vivere senza la Celebrazione Domenicale? Come si fa a vivere senza questo dono? Perciò è vita vera quella che si conduce a prescindere da tutto ciò?
Ringraziamo il Signore che ci ha dato sé stesso, che col suo amore perpetua sino a questo momento la possibilità per ciascuno di noi di arrivare ad accogliere la salvezza eterna. Il personaggio del buon ladrone ci sia di esempio. Di lui, il quale pur trovandosi nella medesima condizione fisica di Gesù, non si può dire che partecipava dello stesso calice, eppure questo si verificò nel momento in cui egli ammise la propria colpa, confessò il proprio peccato, e si affidò a Gesù morente. Bere il calice significa pertanto partecipare con l’assenso totale della vita a quello che fu e rimane il mistero di amore di Dio in Cristo Gesù. Così egli stesso chiese agli apostoli Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, i quali pretendevano di sedere uno a destra e l’altro a sinistra nel Regno dei cieli: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (Mc 10,35-40).
Carissimi fratelli e sorelle il calice di Gesù, il suo battesimo, sono il mistero pasquale che segna la vittoria di Dio sul peccato e sulla morte. Questa vittoria ci è regalata gratuitamente col Battesimo mediante l’Eucaristia da cui sgorga. Facciamo in modo di non barattare questo inestimabile tesoro e di tenerlo ben in vista, di tenerlo ben in alto mediante la nostra condotta: “Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”.
Signore Gesù Cristo, che ti sei donato per la salvezza del mondo, vivo e presente nel Sacramento dell’Eucaristia, guarda il nostro popolo, la nostra gente, ciascuno di noi. Risveglia il torpore che spesso ci assale, ridesta in tutti il desiderio e la forza di contribuire personalmente alla costruzione della vera pace e della vita buona che tu solo puoi dare. Fa’ che ai raggi benefici di questo Sacramento di salvezza possiamo sempre attingere il segreto e il vigore per la crescita organica dei singoli, delle famiglie e della società
Maria Santissima, madre della Divina Grazia e madre della Chiesa ci assista in questo percorso di salvezza e ci renda sempre più autentici pellegrini di speranza.
Corpus Domini 2024
