Festa dei Protomartiri Francescani 16 gennaio 2022 – omelia del padre generale Massimo Fusarelli

Abbiamo ascoltato la parola di San Paolo nella 1Cor 4,9: “Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini”. L’Apostolo riconosce come una caratteristica del ministero una condizione di umiliazione: la nostra forza, infatti, è la potenza di Dio che agisce in noi, deboli e piccoli.

Il vangelo di Mt 10, 16 ci ha detto con altrettanta chiarezza: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque“. Gesù non ci manda a vincere e trionfare, quanto a consegnarsi radicalmente come disarmati al potere dell’altro. La strada è quella tracciata da Gesù stesso, che si è consegnato ai suoi nemici, lasciando che facessero di lui quello che volevano.

San Francesco ha camminato in questa logica del Vangelo. Ha visto la presenza e l’opera dei frati come annunciatori del Vangelo citando proprio Mt 10,16 a capitolo 16 della Regola non bollata quando permette ai frati “che per divina ispirazione vorranno andare tra i saraceni e altri infedeli” di andarci. È proprio con questa parola che San Francesco ha visto la missione. E nello stesso capitolo dice ai frati di “rimanere soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessare di essere cristiani”.
Il missionario cristiano è uno che si espone fino in fondo al Vangelo, prima che agli uomini. Quanto più è vulnerabile al Vangelo e alla sua logica capovolta, tanto più gli altri possono fare di lui quello che vogliono. Ancora Francesco nello stesso capitolo dice ai frati: “si ricordino che hanno donato se stessi e hanno abbandonato i loro corpi al signore nostro Gesù Cristo. E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia in visibili che invisibili”.

Ecco La Sapienza della Croce che rovescia ogni calcolo umano. Per San Francesco il valore dell’uomo non sta nelle sue forze. Ascoltiamolo:

“Se anche tu fossi il più bello e il più ricco di tutti, e se tu operassi cose mirabili, come scacciare i demoni, tutte queste cose ti sono di ostacolo e non sono di tua pertinenza, ed in esse non ti puoi gloriare per niente; ma in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità (Cfr. 2Cor 12,5) e nel portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo (Cfr. Lc 14,27)” (Am V,7-8).

Per Francesco lo stile evangelico della sua vita e di quella dei suoi frati è la prima forma di evangelizzazione. Solo un cristiano che si è lasciato trasformare dalla logica della Croce può annunciare veramente il Vangelo, lasciando che prenda carne in noi, e per questo possa essere parola credibile per gli altri.

Nella Ammonizione VI san Francesco ritorna su questo e lo conferma:

“Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore (Cfr. Gv 10,11; Eb 12,2) sostenne la passione della croce.
Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e persecuzione (Cfr. Gv 10,4), nell’ignominia e nella fame (Cfr. Rm 8,35), nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna” (vv. 1-2).

La via della missione è la sequela, per restare sulla strada di Gesù.

I Protomartiri del nostro Ordine che oggi festeggiamo accanto alle loro preziose reliquie, sono fratelli che hanno preso questa parola in modo radicale, quasi folle. Hanno seguito il Signore nella sofferenza e nella persecuzione, nel rifiuto e anche nella violenza fisica. Sono talmente entrati nella conformazione a Cristo povero e crocifisso da desiderare di essere veramente con Lui, come Lui, dietro di Lui.

“Vi è in tutta l’originaria spiritualità francescana una caratteristica aspirazione, quella della imitazione del Signore, fino alle estreme conseguenze; ora del Signore non si dice forse che «si offerse, perché Egli lo volle»? (Is 53,7) Lui medesimo non afferma: «. . . Io do la mia vita . . . Nessuno me la toglie, ma Io la do da me stesso . . .»? (Gv 10,17-18) È vero che «nessuno deve spontaneamente darsi la morte» (S. AUG., De civ. Dei, 1, 26; PL 41, 39), che «uno non deve dare ad altri occasione di agire ingiustamente» (Summ. Theol., ibid. II-II 124,1 ad 3); ma, come nota lo stesso Benedetto XIV, riferendosi a casi simili, vi possono essere situazioni in cui, o per impulso dello Spirito Santo, o per altre speciali circostanze, l’araldo del Vangelo non ha altro modo per scuotere l’infedeltà che quello di fare del proprio sangue la voce d’una estrema testimonianza. Testimonianza indubbiamente paradossale, testimonianza d’urto, testimonianza vana, perchè non subito accolta, ma sommamente preziosa, perché convalidata dal totale dono di sé; testimonianza che mette in suprema evidenza che cosa sia martirio. Esso dovrebbe essere subito, passivo; nel linguaggio agiografico si chiama passio; ma non è mai privo d’un’accettazione volontaria, attiva; che nel nostro caso prevale e perciò maggiormente risplende” (S. Paolo VI, Omelia 21 giugno 1970).

Il martirio dei nostri Protomartiri è un atto d’amore estremo e assoluto, da capogiro, sui passi di Colui che ha dato la vita per gli amici, testimoniando così da una parte la sua fedeltà totale al Padre e dall’altra la verità del suo annuncio, comprovato dal sangue. Così per i suoi discepoli, per noi. Il martirio sigilla la verità del Vangelo. L’Eucaristia che celebriamo ci radica in questo amore che si dona.

I Santi Protomartiri dell’Ordine hanno compiuto il desiderio di martirio di Francesco, di Chiara e di Antonio di Padova, che al passaggio delle loro reliquie decise di seguire la follia del Vangelo.

Oggi noi li ricordiamo. La memoria diventa contemporanea. La pazzia di questi frati urta contro la nostra mentalità moderna, così attenta ad auto preservarsi, così scettica e priva di slanci ideali, pronta ad accontentarsi di una misura minima dell’umano.

Ammiriamo questi martiri, ma nello stesso tempo ci sentiamo lontani dalla loro intima forza. Il loro esempio grida, scuote la nostra fede intorpidita, la nostra incertezza, i nostri tentennamenti.
Essi ci provocano a ritrovare il coraggio della verità, che è Cristo, crocifisso e risorto.

La loro robusta testimonianza ci pone una domanda non facile: come dobbiamo stare in rapporto al mondo di oggi, alla società che ci circonda? Dobbiamo metterci di fronte al mondo piuttosto che accanto ad esso? Dobbiamo rompere i nostri rapporti col tempo che viviamo e le sue contraddittorie e molteplici realtà, con il rischio di isolarci e rendere difficile la missione?

Questi Protomartiri forse hanno voluto rifiutare il loro tempo e mettersene al di fuori? Se guardiamo bene che cosa li ci riconosciamo mossi da un amore forte e nello stesso tempo ingenuo, animato da una folle speranza. Forse veramente pensavano di poter convertire quegli uomini? Hanno fatto un calcolo sbagliato, ma per amore, per giovare agli altri, per aprire una strada al Vangelo. Hanno forse semplicemente rifiutato e addirittura odiato il mondo musulmano? No, perché sono andati in mezzo a quegli uomini di fede diversa e li hanno amati al loro modo, volendo portare loro l’amore di Cristo.

Per questo alla luce del loro esempio possiamo anche camminare per apprezzare come cristiani l’azione di Dio nelle altre religioni, perché la Chiesa nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni.

Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire di vivere, quei precetti e quelle dottrine che non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (Nostra aetate, 2, citata da Fratelli Tutti 277).

Nello stesso tempo la testimonianza dei nostri Protomartiri ci ricorda, come dice la Fratelli Tutti al n. 277, che “come cristiani non possiamo nascondere che «se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati. Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna». Altri bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo. Da esso «scaturisce per il pensiero cristiano e per l’azione della Chiesa il primato dato alla relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro, alla comunione universale con l’umanità intera come vocazione di tutti».

Sono sentimenti questi che ci inducono a celebrare il Signore nei Santi Protomartiri dell’Ordine Francescano. Sono onorato di poterlo fare quest’anno qui a Terni, accanto alle loro reliquie.
San Francesco ci ricorda ancora: “Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle!” (Am VI, 3).

Non vogliamo solo onorarne la memoria, quanto continuare a ispirare la nostra vita al loro esempio, a invocare per la Chiesa, per questa terra umbra da cui sono partiti, per tutta la nostra famiglia francescana, e per il mondo intero la loro celeste protezione.

Fr. Massimo Fusarelli, ofm
Ministro generale