La Celebrazione odierna è messa che annuncia e anticipa la pasqua nella festa di san Giuseppe lavoratore, sposo di Maria, padre putativo, adottivo di Gesù e patrono della Chiesa universale.
Una messa particolare a cui partecipano i rappresentanti di Acciai Speciali Terni, dirigenza e lavoratori, in presenza e a distanza, insieme ai rappresentanti di tutto il mondo del lavoro di Terni e alle istituzioni civili, militari, alla comunità diocesana nei rappresentanti delle associazioni, movimenti, guidate dai sacerdoti parroci. Insomma tutta la comunità si è convocata per ricordare e sottolineare la storica visita di papa Giovanni Paolo II, oggi santo, alle Acciaierie, alla città di Terni e alla Diocesi di TNA. Era il 19 marzo 1981, festa di San Giuseppe lavoratore. Questa vuole essere un’occasione di preghiera, di memoria, di riflessione e di speranza per la città e, in particolare, per le Acciaierie, per tutto il mondo del lavoro della nostra comunità.
La Chiesa attraversa il tempo liturgico della passione del Signore, siamo nell’ imminenza della Pasqua. La stessa passione, che sperimenta e attraversa l’umanità con la pandemia del Coronavirus, oggi può essere letta e decifrata alla luce della Parola di Dio e del Vangelo.
La pagina del vangelo rinvia temporalmente la nostra mente a Gerusalemme, subito dopo l’ingresso trionfale di Gesù. E’ l’imminenza della Pasqua ebraica, quando dalla Palestina e da ogni parte del mondo, allora conosciuto, pii ebrei confluivano a Gerusalemme per celebrare la Pasqua. In questo contesto siamo immessi anche noi, e la nostra attenzione viene richiamata da tre punti focali, tre icone o centri di interesse.
«Signore, vogliamo vedere Gesù». Alcuni Greci, presenti alla festa, che avevano sentito parlare di Gesù, uomini devoti e cercatori di verità, erano rimasti incuriositi e desiderosi di conoscere Gesù e entrare in relazione con Lui.
Si rivolgono all’apostolo Filippo, il cui nome di origine greca poteva ispirare maggiore fiducia, e gli dicono: «vogliamo vedere Gesù».
Nel linguaggio usato dall’evangelista Giovanni “vedere” non indica semplice curiosità, ma un desiderio di “conoscere” Gesù e di credere in lui.
Vedere fisicamente Gesù non bastava, ovviamente: anche i suoi nemici lo vedevano eppure lo ritenevano semplicemente un uomo di Nazareth, anzi un impostore. Ma vedere e udire fisicamente Gesù, un uomo con un volto, una carne, era indispensabile, per pervenire progressivamente a contemplare in Lui, con l’occhio della fede, il Figlio di Dio, cioè a scoprire in Lui il Verbo fatto carne. E’ Gesù, con le parole, i gesti, i miracoli, con tutta la sua presenza, che introduce al Mistero e conduce dal “vedere” un uomo di carne al riconoscere, in quella carne, il Verbo di Dio. Il “vedere” fisico, per tutto il Vangelo, è la via d’accesso al Mistero.
L’evangelista Giovanni dice di se stesso: “Vide e credette” (Gv 20,8), quando entrato nel sepolcro di Gesù, vide i teli che erano stati usati per seppellire Gesù e scaturì nel suo cuore la fede nella Risurrezione di Gesù.
Gesù si mostra loro, li introduce nella sua comprensione del suo mistero di amore, che passa attraverso la sofferenza, la croce e la risurrezione, illustrando una delle esperienze umane più vive e vicine alla vita dei suoi uditori. E questa è la seconda icona.
Dice Gesù: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”.
Gesù fa riferimento alla legge della natura: per essere fecondo e generare altra vita occorre accettare di trasformarsi, morire, marcire. Da un chicco, che marcisce sotto terra, si genera una spiga, molti chicchi di grano, che costituiranno l’alimento di vita per tanti.
E’ la legge della natura, che passa dalla esperienza della fatica, del sudore, del sacrificio per produrre, inventare, creare, generare vita. Pensiamo al sacrificio dei genitori per realizzarsi, curare e far crescere i figli.
La stessa logica presiede al mondo del lavoro: la fatica, la dedizione, lo spirito di corpo e di sacrificio per la propria impresa, l’azienda, la fabbrica, la città.
In questi tempi abbiamo sotto gli occhi il sacrificio e la dedizione di medici, infermieri, sacerdoti, operatori, volontari civili e militari per curare e alleviare pene e sofferenze di malati, anziani, famiglie contagiate. Molti hanno sacrificato anche la propria vita.
L’assurdità della croce di Cristo viene illuminata in parte da queste immagini ed esperienze tanto vicine e proprie della nostra umanità.
Gesù completa il suo pensiero (è la terza icona):
“E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire”.
Nell’esperienza umana l’innalzamento corrisponde all’aumento dell’autorità, del potere, del prestigio. Per Gesù l’innalzamento sulla croce e l’umiliazione rappresenta il supremo atto di amore per l’umanità, l’adesione alla volontà del Padre, lo spendersi per tutti gli uomini.
Gesù nella pasqua rende testimonianza dell’amore che ha per gli uomini, per Dio Padre.
“La Croce non ci fu data per capirla ma per aggrapparci ad essa” (Bonhoeffer): attratto da qualcosa che non capisco, ma che mi seduce e mi rassicura, mi aggrappo alla sua Croce, cammino con Lui. Sulla croce l’arte divina di amare si offre alla contemplazione cosmica, si dona alla fecondità delle vite.
Mentre siamo radunati ai piedi della croce, alle prese con le lotte quotidiane per la vita, la salute, la pace e la concordia, vediamo, contempliamo Gesù, apprendiamo da lui l’arte dell’amore e del vero successo.
40° anni fa, il papa san Giovanni Paolo II, a partire dalla esperienza del lavoro in fabbrica, annunciò nella nostra città il vangelo del lavoro, dell’amore, della vita. Oggi alcune problematiche sono cambiate e migliorate solo in parte, mentre siamo alle prese con una crisi di sistema, di trasformazioni che non riusciamo a cavalcare, e da un anno con la pandemia del Covid-19, che ha prostrato la nostra società e anche il nostro territorio.
La memoria della visita a Terni del papa san Giovanni Paolo II, 40 anni fa, col suo messaggio di speranza, tuttora attuale, alle Acciaierie, al mondo del lavoro, alla città, alla diocesi, può sostenere gli sforzi della chiesa, dei concittadini, uomini e donne di buona volontà, a promuovere il rinnovamento e lo sviluppo sociale e religioso.
Rivedendo i gesti di quella visita memorabile, e le parole del papa santo possiamo trovare spunti e suggerimenti per inventare e seguire vie di un nuovo umanesimo e crescita sociale.
La nostra città, capoluogo e capofila della pluralità delle città e dei castelli del territorio, non può rassegnarsi al declino indotto da scelte sbagliate locali e generali, da egoismi di campanile o di parte, e da ultimo dalle asfissie, dalle limitazioni e dai fallimenti causati dalla pandemia.
Parafrasando le parole di Gesù, è utile prendere consapevolezza che “se una città è divisa in se stessa, va in rovina; e una casa cade sull’altra” (Lc 11, 17).
In un’ora grave e delicata, varie vicende politiche hanno portato la nostra Italia a dotarsi di un governo di collaborazione nazionale. Un analogo spirito dovrebbe spingere la classe dirigente e tutte le forze culturali, civili, politiche e sociali più significative della città e della regione in uno straordinario sforzo generoso a collaborare a favore della Next Generation a Terni, in Umbria, in Italia e in Europa.
Alcune menti illuminate sono già al lavoro con proposte ideali ed operative. Va sostenuto e promosso da parte dei responsabili della Civitas ogni sforzo e progetto positivo e propositivo di risveglio e di sviluppo civile, sociale e religioso.
La comunità ecclesiale, celebrando il gesto più santo ed efficace della propria esperienza religiosa, l’Eucaristia, vuol dare il proprio contributo per promuovere un senso alto del lavoro umano e l’edificazione di una nuova società.
Il pane e il vino, “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” nell’Eucaristia diventano Gesù Cristo, cibo e bevanda di vita, medicina che cura il corpo, l’anima e lo spirito, debilitati da comportamenti autodistruttivi e dalla pandemia. L’Eucarestia, convito dei credenti, rinnovato ogni domenica, giorno del riposo dal lavoro e della festa, diventi per tutti premessa, modello e speranza certa di un futuro di giustizia, di condivisione e di benessere nella comunità degli uomini.