Vescovo – intervista per i 50 anni di sacerdozio di mons. Piemontese: “Quanto più ti coinvolgi più sei cercato e il Signore ti gratifica con le sue carezze”

«Il correre veloce del tempo in questa stagione particolare non mi ha consentito di gustare pienamente l’avvicinarsi del traguardo del giubileo sacerdotale d’oro, tappa fondamentale nella vita di un sacerdote. L’ho raggiunto di corsa, ad alta velocità, tra l’austera quaresima e la quarantena del Covid, giustificata con l’autocertificazione ministeriale per dare spazi e inventiva all’apostolato quaresimale. E poi la Settimana Santa, ricca di significati, ma anche carica di preparazione liturgica e di celebrazioni impegnative, con al centro la Messa crismale, nella quale ho celebrato solennemente con tutto il Presbiterio e il popolo di Dio il 50° di sacerdozio. E poi la veglia pasquale e le messe pasquali nelle tre concattedrali. E, infine, il giorno esatto del Giubileo, 5 aprile 2021, trascorso in “beata solitudo” con il ringraziamento e la lode per il dono della vita, del sacerdozio e del… vaccino anticovid, ricevuto in quel di Amelia, quale premessa e difesa per una vicinanza familiare e benedicente con il popolo di Dio, con amici e parenti.
50 anni di Grazia e di Grazie, di misericordia e di perdono, di incontri, di fatiche e di festa, di sogni, di rischi temuti e di imprese realizzate, di successi e di benedizioni.
Molte volte ho constatato i miei limiti e il fallimento, sempre ho sperimentato la Grazia di ricominciare. Un santo vescovo mi disse una volta: “ogni giorno ci alziamo e ogni giorno possiamo ricominciare nel nome del Signore».
Il vescovo Giuseppe Piemontese esordisce così nel raccontare il suo anniversario sacerdotale celebrato il 5 aprile, lunedì dell’Angelo.
La ricorrenza dei 50 anni al tempo della pandemia, assume un valore particolare, sia come sacerdote che come vescovo. Cosa significa celebrare questo anniversario in un momento così particolare e da vescovo?
Come dicevo durante la messa crismale, la ricorrenza della festa sacerdotale è carica di accenti di vari e contrastanti significati: gratitudine e gioia per il dono del sacerdozio, che continua a splendere nella Chiesa, ma anche afflizione e preoccupazioni per contagi e malattie ancora dilaganti, angustie psicologiche, ristrettezze economiche quali conseguenze e retaggio della pandemia, angoscia della gente e del popolo di Dio, rinchiuso nelle case. E poi la stessa Chiesa diocesana che è stata colpita duramente nella sua carne e negli affetti: tanti fedeli, anche in giovane età che ci hanno lasciato; in particolare il dolore per la morte di 5 confratelli presbiteri e un diacono tornati alla Casa del Padre negli ultimi otto mesi.
In tale situazione di sofferenza, lutti e ristrettezze economiche non c’è spazio per festeggiamenti e per assembramenti. A tutti chiedo il dono della preghiera e della carità verso i poveri in questi festeggiamenti… a distanza.
Quali sono stati i cardini del suo ministero in questi anni?
La vocazione francescana e quella sacerdotale mi hanno accompagnato di pari passo fin dall’età di 11 anni. Il carisma francescano ha illuminato il ministero sacerdotale e il sacerdozio ha dato esplicitato la fraternità, la povertà, la semplicità e l’obbedienza di Francesco d’Assisi.
A livello formativo, celebrativo ed attuativo, mai sono stai disgiunti carisma e ministero. Nella convinzione ideale, nella spiritualità e nell’esercizio pastorale. Circa poi la fedeltà ad entrambi gli aspetti purtroppo i limiti umani spesso hanno fatto sentire e apparire la fragilità.
Quale è stato il momento più esaltante e la prova più difficile?
La prova più difficile è stato il momento della scelta definitiva con la Professione solenne nell’Ordine francescano, quando prevaleva il timore per la fedeltà ai tre voti.  Quello più esaltante è stato l’ordinazione sacerdotale, traguardo immeritato, ma ardentemente desiderato e preparato dall’infanzia per il servizio a Dio e alla Chiesa.

Nel suo ministero sacerdotale ha vissuto molte esperienze. Quanto sono state importanti, nella sua esperienza di prete, la comunità, il dialogo con gli altri confratelli, il lavoro pastorale con laici impegnati, l’incontro con i fedeli, con la società civile e politica?
La comunità è stata sempre croce e delizia soprattutto nella prospettiva del ministero. Molte sono state le sofferenze sopportate, come penso anche quelle inflitte ai confratelli. Nella vita ordinaria di comunità ho sempre manifestato il mio pensiero, i miei suggerimenti, ma ho sempre accolto le decisioni dei superiori, anche quando non le condividevo. Nei lunghi anni vissuti da ministro provinciale o da custode del Sacro Convento ho cercato con tutto me stesso la comunione, mettendo in campo ogni mezzo di preghiera, dialogo, attesa e persuasione, ma ho dovuto sopportare molte amarezze, in silenzio. E tuttavia è il Signore che costruisce e guida la casa.
Con i giovani, i catechisti, i lici impegnati il discorso è stato faticoso, ma anche entusiasmante. Gli anni del dopo Concilio con lo studio e l’attuazione della riforma liturgica, del rinnovamento della catechesi, l’unità dell’Ordine francescano secolare. La pastorale parrocchiale, quella giovanile, la vicinanza e cura spirituale e materiale dei malati… Quanto più ti coinvolgi più sei cercato e a lungo termine il Signore ti gratifica con le sue carezze.

A proposito di giovani, da anni si parla della crisi delle vocazioni. Come si supera questa situazione?
Per 50 anni ho lavorato con i giovani e nella pastorale vocazionale. Ma non esistono ricette. E’ il Signore che chiama, a noi sta assecondare e riconoscere l’opera di Dio. Le nostre azioni efficaci sono quelle semplici e ordinarie: la preghiera insistente e fiduciosa, promuovere itinerari di fede, stare con amore e intelligenza tra i ragazzi e i giovani, avere il coraggio di fare proposte-chiamare, collaborare in rete nell’azione educativa ordinata e sistematica .

Il mondo cambia, come cambiano il senso di appartenenza alla chiesa e l’approccio alla fede. Come è cambiato il suo essere sacerdote in questi anni? Cosa invece rimane nel tempo?
In 50 anni molte cose sono cambiate: dai numeri, nel primo anno di parrocato, a 33 anni, avevo 1000 fanciulli al catechismo, all’adesione, alla conoscenza, alla morale.
Ad ogni missionario viene chiesto di spogliarsi di tutto e di inculturarsi tra il popolo che gli viene affidato. Ciò è chiesto ad ogni sacerdote: conoscere la realtà e la cultura in cui si è inviati, amarla e farla propria qualunque essa sia, pregare e celebrare, stabilire relazioni con tutti, specie con i poveri, voler bene a tutti e, come diceva san Francesco, “quando piacerà al Signore annunciare il Vangelo”. Questo stile, che è stato quello degli apostoli, è valido anche oggi: la società è cambiata, noi la amiamo e il metodo è lo stesso. Gesù darà fecondità al nostro essere e testimoniare.

L’Umbria, Assisi, il Sacro Convento, Terni. Quali sono i suoi sentimenti e ricordi?
L’obbedienza consegnatami dal Ministro generale di trasferirmi al Sacro Convento come custode è stata quella che più mi è costata: avrei preferito venirci come semplice frate. E tuttavia il servizio alle basiliche e alla tomba di san Francesco è stato per me come una umile restitutio al Serafico Padre per la vocazione francescana, dono inestimabile. I 4 anni trascorsi in Assisi sono stati per me intensissimi, affascinanti e arricchenti oltre ogni aspettativa e misura nel versante della spiritualità, ecclesialità, fraternità, pastoralità, carità, mondialità, interculturalità, arte, liturgia, musica sacra. Sarebbe lungo chiarire tutto ciò. Non nascondo che al termine ero esausto.
Il trasferimento a Terni per il servizio episcopale è stato un atto di obbedienza francescana al “signor papa”, secondo lo spirito di san Francesco, che tuttavia voleva che i suoi frati restassero “minori”. Ho accolto la missione con timore e tremore, incosciente della situazione e delle responsabilità, ma oltremodo fiducioso nel Buon Pastore e nell’aiuto dei fratelli.  Ora, celebrando il giubileo sacerdotale d’oro, convoco un’assemblea ecclesiale online, a distanza, di ringraziamento e di lode al Signore.
Giubileo non necessariamente significa giubilato. Il sacerdozio è per sempre. Non mi sento nello spirito di mettermi in quiescenza. Certo che presenterò la rinuncia a Papa Francesco, quella prevista dal Codice di Diritto Canonico, e tuttavia con l’animo libero e sereno di accogliere qualunque decisione sarà presa.
Dico grazie a Dio e a tutti coloro che mi sono stati affidati con l’invito a pregare per la mia perseveranza e santificazione.

intervista di Elisabetta Lomoro