I Protomartiri francescani indicano la vita buona del Vangelo – omelia padre Giovanni Voltan ofm conv

Ecco l’Agnello di Dio. Quest’affermazione ci conduce a puntare gli occhi sul Messia atteso, su Gesù che Giovanni Battista “vede venire”. Prima di andare da Gesù, fermiamoci a Giovanni come colui che vede, che sa vedere, che sa indicare. Solo chi vede, può indicare e poi scomparire. In quest’ottica, mi piace cogliere i santi confratelli Protomartiri della Fraternità francescana (Berardo, Pietro, Accursio. Adiuto e Ottone) perché anch’essi sono stati, come Giovanni Battista, testimoni, indicatori della vita buona del Vangelo, animati dal desiderio di comunicarlo non solo agli uomini e donne dell’Italia centrale, ma anche – e addirittura – agl’Infedeli (così come erano chiamati i musulmani al loro tempo).
Negli anni in cui sono stato a Padova, mi ha quotidianamente colpito il passaggio ininterrotto di pellegrini alla tomba di frate Antonio da Lisbona: quante mani, quante preghiere e talvolta lacrime si posano su quella lastra verde che mette in relazione di prossimità il corpo del Santo con il pellegrino. Se quel frate, – tanto invocato come intercessore fraterno e vicino – è divenuto Antonio di Padova, il Santo (per noi padovani semplicemente il Santo, senza bisogno di metterci il nome) è grazie alla testimonianza di Berardo e dei compagni, figli di questa terra ternana. Al dotto dom Fernando, canonico agostiniano che viveva in Coimbra, al monastero di Santa Cruz, i frati missionari di Terni – meno colti di lui, uomini semplici, incamminati ad annunciare il Vangelo in Marocco – hanno indicato il Vangelo vissuto dalla loro vita povera-lieta-appassionata; gli hanno fatto scattare dentro una scintilla, una risposta che mi verrebbe da verbalizzare così: Ecco quello che per davvero cercavo, quello che voglio. Ecco la risposta alla mia inquietudine. E dom Fernando – grazie a loro – volle diventare frate minore con il nome di Antonio, chiedendo anch’egli di recarsi in Marocco a dare la vita per il Vangelo.
Ecco l’Agnello di Dio. Tutti noi, sin da bambini sappiamo chi è Gesù, impariamo le preghiere, riceviamo la catechesi base, ma c’è – anzi, ci dev’essere – un momento benedetto (uno “start”) in cui qualcuno, – in qualche momento che poi sappiamo ricordare –, ci fa fare un’esperienza vera di Gesù, ce lo indica presente, ce lo testimonia in modo così efficace da metterci in contatto, in relazione stretta, personale, intima con Gesù. E poi umilmente (e intelligentemente) questa persona sparisce, si fa da parte perché ha fatto quanto doveva (perché – per dirla con il Battista – Egli cresca nella tua vita e io diminuisca).
Ecco l’Agnello di Dio. Sono certo che la missione dei frati Protomartiri avrebbe avuto successo anche se non ci avesse guadagnato tra i frati Minori frate Antonio. Perché? Perché hanno donato la vita al Signore, perché mossi da divina ispirazione, con la benedizione di frate Francesco sono partiti con l’ansia evangelica di portare Gesù agl’Infedeli, per testimoniarlo. Non avevano la strumentazione teologica e linguistica necessarie, né altri mezzi di tipo logicistico-materiale, sapevano di dover affrontare un lungo viaggio e che avrebbero potuto essere ammazzati. Avevano solo la benedizione di Dio data loro da Francesco e dai fratelli e la testimonianza del loro incontro con il Signore da offrire per convincere al Vangelo. Anche se non ci avessero procurato sant’Antonio, essi hanno raggiunto lo scopo della vita cristiana (non solo di frati-suore-preti) che è questo: dare la vita, vivere come Gesù. Certo, oggi alla luce della riflessione teologica, dei molti passi compiuti nel dialogo interreligioso, – pensiamo solo alla recente enciclica Fratelli tutti –, possiamo trovare discutibile il loro approccio a persone di altre religioni (facile giudicare con i nostri criteri contemporanei scelte e clima culturale di secoli passati), ma il punto da evidenziare resta, – al di là dei giudizi e degli otto secoli che ci separano dalla loro vicenda –, soprattutto uno: come i primi cristiani, hanno voluto amare Gesù così, senza temere di morire – insieme, come fraternità – per Lui.
Ecco l’Agnello di Dio. Giovanni il Battista avrebbe potuto utilizzare un’immagine di un animale più forte di un piccolo agnello per indicare il Messia che tutti aspettavano. Per esempio, avrebbe potuto definirlo il leone, l’aquila, invece egli scorge in Lui l’agnello (immagine di grandi rimandi all’Antico Testamento). Ci dicono gli esperti che in aramaico, la lingua parlata da Giovanni e Gesù, la parola usata da Giovanni è talijah che indica sia agnello che servo. Gesù è l’agnello-servo che si carica tutto il male del mondo, si assume tutto il peccato del mondo (peccato al singolare: non i singoli peccati, ma piuttosto la loro stessa radice che è la non relazione con Dio, il vivere fuori di questa relazione per cui mi importa solo di me).
Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Come toglie il peccato Gesù? Facendosi servo, – e ci tornano in mente i quattro canti del Servo in Isaia –, e servo non è una parola di serie b. È da abbinarsi ad amore: è servo solamente chi ama, chi si disinteressa di sé e si china fino anche ai piedi del fratello. Non del fratello, sorella carini, ma del fratello nel bisogno, in difficoltà, che rompe, che disturba, che continua a sbagliare, del fratello irretito nel peccato…. Gesù toglie il peccato facendosi servo ed anche agnello, animale che è icona di dolcezza. L’antidoto al peccato è la dolcezza e innocenza dell’agnello, qualcosa che ti disarma. La dolcezza disarma la nostra violenza (le piccole grandi violenze che avvengono in famiglia, nel lavoro, nei rapporti, in politica, ed anche appena ti affacci ai media, ai social); la dolcezza disarma la nostra volontà di potere, le nostre competizioni. L’agnello ci dà uno stile che è quello della tenerezza, della mitezza che non è paura – cosa da pusillanimi – ma vera forza; che non è imporsi ma un proporsi convinto che non indietreggia. La persona mite resta-annuncia-denuncia-lotta senza mai ricorrere alla violenza. Ma l’agnello – non dimentichiamolo – è soprattutto come Gesù ha voluto essere il Cristo, come ha voluto portarci salvezza. Con mitezza, con tenerezza che possono tradurre un’altra parola stupenda e immensa, misericordia. Egli è l’agnello del sacrificio definitivo che prende tutto su di sé per distruggerlo una volta per tutte, senza più bisogno di fare altri sacrifici: è lui che si sacrifica per noi.
E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio. Così chiudono le poche righe del vangelo odierno. Giovanni Battista dopo aver indicato il Messia come Agnello lo proclama Figlio di Dio. In questi pochi versetti sta tutto il cammino del Vangelo di Giovanni evangelista che alla fine del suo Vangelo, (alla fine del 20.mo capitolo), scriverà (pressappoco così): Questo è stato scritto perché voi crediate che Gesù è il Figlio di Dio e credendo abbiate la vita in Lui. Nelle poche righe proclamate stasera (del primo capitolo) c’è tutto il percorso in anteprima: guarda l’Agnello e vedi il Figlio di Dio; guarda l’Agnello e vedi Dio, il suo stile; vedi colui che il Padre ha mandato come guarigione, come medicina al male del mondo, colui che il Padre ha inviato perché ti ama. Gesù infatti farà quello che Giovanni Battista non può fare con il suo battesimo di purificazione e cioè battezzare nello Spirito Santo che è l’Amore che unisce il Padre e il Figlio. Battezzandoci nello Spirito Santo, Gesù ci apre alla relazione d’amore con Dio, ci porta nell’abbraccio stesso del Padre e del Figlio, dentro l’amore infinito che ci fa uno con Dio. Guarda allora Gesù, l’Agnello, e vedi la misericordia di Dio, il suo volto. E ricevi il suo abbraccio.
Abbiamo visto e testimoniato. I Santi Protomartiri francescani avevano fatto quest’esperienza di misericordia con Gesù. Forse non avevano la preparazione e i mezzi per esporla in termini teologici, ma hanno reputato poco la loro vita pur di annunciare questa verità: Gesù, – il Figlio di Dio venuto a noi come Agnello –, è il nostro tesoro più grande, colui che ci salva per sua sola misericordia, colui che dal male ci converte a un amore così grande.
Santi Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto e Ottone – alla cui scuola e testimonianza è debitore anche sant’Antonio da Lisbona e di Padova – con la vostra vita appassionata e donata, con la vostra fraterna intercessione, aiutate anche noi a fare esperienza di quest’amore e a testimoniarlo.

fr. Giovanni Voltan