III domenica di Pasqua al Monastero santissima Annunziata – Clarisse Terni

Tempo di Pasqua, esperienza del Risorto, trasformazione della vita cristiana.
Come gli apostoli, chiusi in casa, pieni di fede e di attesa, ci disponiamo ad incontrare Gesù Risorto, che ci aiuta a leggere gli eventi “pasquali” che stiamo vivendo, e a reagire con speranza e gioia.

Quella che abbiamo vissuto e stiamo vivendo è una Pasqua senza la presenza fisica del Popolo di Dio, sottolineata dalle note del dolore, sofferenza, malattia, morte.
La paura per il contagio e la preoccupazione per il futuro: sono i sentimenti e il clima dominante e che ci tengono segregati nelle case in una lunga e interminabile quarantena di quasi 2 mesi.
E anche ora che si parla di ripresa, di fase 2, di riaperture, ci rendiamo conto che nulla sarà più come prima.
Dovremo cambiar abitudini, ci aggireremo per le strade sospettosi, saremo abitanti di un mondo che dovrà privarsi del calore dello stare insieme, delle grandi adunate festose di liturgie religiose e civili.
Dovremo accontentarci di camminare in solitudine, di relazioni a distanza, di convivenza senza prossimità, di amicizia senza abbracci, di affetti senza baci.
La costruzione di una civiltà, società, fatta di convivenza umana si priverà degli elementi di affettività e sentimenti, di interscambio di flussi affettivi, che renderanno le nostre comunità fredde e razionali.

Nei due discepoli di Emmaus, che si allontanano di Gerusalemme, in fretta e distanziati, possiamo intravedere e leggere la vicenda dell’umanità nel tempo del Coronavirus.
Uomini e donne, che avevano impostato la parabola dell’esistenza in una folle gara di orgogliosa presunzione di raggiungere traguardi scientifici, economici e socili infiniti, ponendo ai margini limiti etici e il bene complessivo dell’intera umanità: la terra, il cielo, il mare, gli animali, le piante, l’uomo in tutte le sue dimensioni.

I due di Emmaus, spaventati fuggono, impauriti per le loro attese deluse e per le ambizioni frustrate. Una prospettiva di vita infranta. Noi speravamo…
Emmaus è la certificazione della sconfitta di un modello di umanità e di sviluppo basato solo in una dimensione orizzontale, in una prospettiva terrestre, fatta di possesso smodato, sfruttamento della creazione, in una competizione selvaggia, prevalenza degli istinti animaleschi della lussuria, predominio dell’uomo sull’uomo, di nazioni su nazioni con la forza della violenza, delle armi, dell’economia, della finanza…
Noi speravamo… Ora constatiamo la fine di un sogno, la certificazione della vittoria e prevalenza dell’odio e della morte. La prospettiva è allontanarsi e in fretta… andare lontano anche fisicamente dal teatro dei nostri sogni, incontro al buio, alla notte, verso una meta sconosciuta.

Eppure il racconto evangelico è permeato di speranza, è prefigurazione di un nuovo inizio, proposta di coordinate e strumenti di una prospettiva e creazione nuova.
Il cuore dei due viandanti, man mano che procedevano si infiammava di commozione, di calore e di gioia mentre il viandante sconosciuto procedeva nella illustrazione piena e nella lettura critica degli eventi avvenuti, che erano stati causa di delusione.
Ciò che è accaduto è il fallimento di un progetto costruito in opposizione alla proposta rivelata da Dio all’uomo e descritta e realizzata dalla vicenda di Gesù di Nazareth. Una vicenda delineata dalle Sacre Scritture, vissuta e annunziata da Gesù di Nazareth, che ha avuto l’apice nel dono della sua vita e del perdono di ogni nefandezza, offerti sulla croce e che oggi si prolungano e si estendono nella condivisione del pane spezzato, quello quotidiano per ogni uomo che vive sulla faccia della terra, e del pane eucaristico offerto chi accoglie il Vangelo e la prospettiva di Gesù.

I due viandanti, con la forza, lo spirito e l’entusiasmo ricevuto dall’uomo sconosciuto, ripercorrono la strada a ritroso e si premurano di raccontare a tutti quale è il percorso che porta alla vita e che rinnova la faccia della terra: la prospettiva dell’amore, insegnato, vissuto e testimoniato da Gesù di Nazareth.

Lo scrittore Alessandro D’Avenia, in una lettura estremamente interessante della vicenda dei discepoli di Emmaus, riferita alla situazione della pandemia dei nostri giorni e pubblicata sul CdS, così si esprime:
“Così il viandante cura la loro delusione: è inevitabile che tutto ciò da cui speriamo di ricevere senso, se è finito, ci deluda, perché il desiderio umano è infinito per definizione e nessun «finito» potrà mai bastargli. Ma è proprio in situazioni (come la attuale) in cui perdiamo le nostre finite o finte certezze che ci disponiamo a riconoscere l’infinito.
Lo straniero ripara la loro «svista»: non è la quantità di potere a dare senso alla vita bensì quella di amore. Non possono riconoscerlo perché lui è venuto a servire, non a dominare. Loro si aspettavano il trionfo (che scendesse dalla croce e sbaragliasse i nemici), ma l’amore non domina, si dà e lascia liberi, non vince ma avvince e convince. Spesso cerchiamo di nascondere la povertà di amore ricevuto e dato con maschere auto-rassicuranti. Ma quando cadono le maschere, chi siamo?
Quando umano e divino cenano alla stessa tavola, allora l’ordinario diventa straordinario.
Risorgere è la ricetta per dare infinito gusto alla vita, perché permette di riconoscere la vita nascosta in ogni cosa: a casa, a lavoro, nel dolore, nella fatica, nelle relazioni, nella luce sulle foglie… in tutto, perché solo ciò che viene fatto con e per amore diventa vivo. Così la «vita di sempre» diventa la «vita per sempre».
Solo così «ce la faremo».
(Corriere della sera, 20 aprile 2020).

+P. Giuseppe Piemontese OFM Conv
vescovo