Messa Crismale 2022

Carissimi fratelli presbiteri, è per me motivo di grande gioia e commozione celebrare con voi questa liturgia della Messa Crismale, nella quale si rinnovano le promesse sacerdotali, vengono benedetti l’olio dei catecumeni e degli infermi e consacrato il crisma.
In questa Messa, facendo memoria del nostro sacerdozio ministeriale, siamo anche sollecitati a verificarlo alla luce della parola del Signore, Sommo ed eterno Sacerdote, sul quale si fonda e da cui prende vita e vitalità il ministero a noi affidato.
Gesù fonda l’inizio del suo ministero apostolico applicando a sé il vaticinio del profeta Isaia il quale, annunciando il tempo messianico, lo vede realizzato concretamente nella storia attraverso la presenza agente dello Spirito.
L’azione specifica dello Spirito sul Messia è quella della consacrazione. Tale consacrazione origina un mandato singolare che, come abbiamo sentito, consiste nell’annunciare un inedito e rivoluzionario messaggio: una bella notizia ai poveri, la liberazione ai prigionieri, ai ciechi la vista, rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore.

Carissimi confratelli presbiteri, è questo il Vangelo sul quale dobbiamo confrontarci sempre; è questa l’icona di Gesù Cristo unico ed eterno sacerdote sul quale si fonda il nostro sacerdozio e il suo esercizio.
Base di tutto, presupposto essenziale per ogni nostra azione e sua conseguente verifica, è dunque e rimane sempre la verità sulla presenza, anzi sulla immanenza dello Spirito Santo nella nostra vita, così come dall’espressione: “Lo Spirito del Signore è su di me”.
Se questo è vero, come è vero, ogni nostra azione non potrà che essere il riflesso dei doni che lo stesso Spirito effonde su di noi, affinché possiamo esserne pienamente compresi, così come lo stesso Isaia testimonia del Messia: Is 11,2 “Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore”.

Carissimi confratelli che partecipiamo al sacerdozio di Cristo, teniamo perciò sempre completamente aperto, spalancato, scoperchiato, il tetto della nostra vita, della nostra esistenza, affinché principalmente lo Spirito vi possa entrare ed avere continuata presenza e dimora che riempie.
“Lo Spirito del Signore è su di me”. Questa affermazione “al singolare”, per noi che formiamo il presbiterio diocesano, si declina anche, e forse principalmente, secondo la forma squisitamente comunitaria. Aspetto questo che dobbiamo sempre presidiare, custodire e coltivare; allontanando da noi ogni forma o tentazione di isolamento, di personalismi e visioni di parte che indeboliscono il corpo, lo fanno ammalare e lo portano progressivamente alla distruzione.
Lo sappiamo bene, tutto questo è possibile non tanto in forza di chissà quale mirabile nostro sforzo, quanto piuttosto attraverso il presupposto di una virtù essenziale: quella dell’umiltà, unica dote capace di arginare il peccato, generare disponibilità e dare vigore e slancio ad ogni buon proposito. Senza il presupposto dell’umiltà lo Spirito del Signore non trova la benevolenza dello sguardo di Dio, come -al contrario- è testimoniato da Maria Santissima nel suo cantico di lode: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio Spirito esulta in Dio mio salvatore perché ha guardato l’umiltà della sua serva”.
Lo sguardo del Padre attraverso l’amore dello Spirito ci consacra e ci rende abili alla celebrazione dei Misteri di Cristo, primo fra tutti la Santissima Eucaristia, dalla quale prende forma e sostanza sia il nostro essere come tutta la vita della Chiesa. Sia la Celebrazione Eucaristica quotidiana nutrimento, respiro e palpito del nostro stesso esistere. Si respinga perciò dai nostri orizzonti ogni forma –anche la pur minima- che tende a indebolirne la potenza e il suo inestimabile valore.
Che bel compito è il nostro! Che alto onore ci viene conferito: essere strumenti della sua santificazione; con lo Spirito Santo –si potrebbe dire- sempre “di casa” nella nostra vita.
E come per Isaia, a seguito della sua vocazione, sia anche per noi fresca, pronta e costante la risposta: “eccomi, Signore, manda me” (Is 6,8).

Portare la bella notizia ai poveri, di qualsiasi genere di povertà si tratti, significa, come ben sappiamo, non tanto pronunciare e/o ripetere belle parole molto spesso prive di consistenza, quanto piuttosto essere amici dei poveri nel bene; farli sentire, attraverso la nostra vicinanza, amati da Dio; e questo, paradossalmente, più che a parole si opera mediante l’eloquente silenzio dei fatti concreti. Fatti concreti che, nel contatto con le persone hanno, ciascuno, un nome specifico, che iniziando dalla cordialità e gentilezza dei modi con cui ci rapportiamo con tutti, specialmente con i più indifesi, si sviluppano -questi modi- fino a generare il tessuto e il terreno entro cui germoglia e prende forma solo il bene.
In un mondo in cui, come si esprime papa Francesco, prevale l’economia dello scarto, noi abbiamo il dovere morale –in quanto consacrati dallo Spirito- di essere accoglienti, poveri tra i poveri, annunciatori/testimoni della ricchezza della solidarietà, della condivisione, della partecipazione. Unica ricchezza, questa, capace di contenere azioni di investimento redditizio, sia per il tempo presente come anche per il futuro e infine per l’eternità.

Annunciare la liberazione ai prigionieri, cioè essere noi una sorta di chiave che apre le porte, il “reagente” che ammorbidisce le sbarre di qualsiasi situazione le persone si trovino ad essere imprigionate: schiave di sé stesse, del proprio egoismo, dei contesti storici, sociali e familiari. Presentare e quindi donare, mettere a disposizione la nostra vita; che sia quindi limpida, bella e santa, come se fosse la pasword, diremmo oggi, per entrare, leggere ed interpretare ogni questione annosa e pertanto capace di affrancare da ogni genere di oppressione.

Ai ciechi la vista, ossia far vedere la realtà e il mondo dalla giusta angolatura, sotto la giusta prospettiva di luce.
Anche qui papa Francesco ci esorta sempre a considerare la storia con gli occhi dei piccoli e dei poveri, alla luce del Vangelo.
Carissimi fratelli, allontaniamo da noi la tentazione di scrivere, anche solo di abbozzare con la nostra condotta e scelte di vita o correnti di pensiero, altra storia che non sia quella del Vangelo rivolto ai poveri, o che sia anche semplicemente ad esso parallela. Sia piuttosto la nostra vita sempre Vangelo vivo, nel nostro oggi, nella concretezza di questo nostro tempo e mai anacronistica, fuori dal tempo e quindi fuori luogo; così come il Magistero ci insegna attraverso la dottrina sociale della Chiesa.

Rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore, risulterà così la conseguenza bella e luminosa della dimensione giubilare della misericordia stabilmente presente, che si realizza nel trasmettere la certezza che per tutti vi è sempre, in Cristo, una possibilità di accedere ai beni messianici.

Di questi beni, carissimi e amati confratelli presbiteri, noi siamo amministratori. Ringraziamo il Signore perché ci ha dato la grazia di averli potuti accogliere nella nostra vita e chiediamo incessantemente di poterli sempre più interiorizzare. Soprattutto la misericordia, il suo amore infinito.
Vorremmo noi limitare tutto questo agli altri? Non sia mai! Se questo dovesse capitare –Dio non voglia- avremmo inesorabilmente estinto anche per noi il dono dello Spirito e la conseguente gioia che da esso deriva.

Perciò, carissimi fratelli presbiteri, non abbiamo mai timore di essere snodo nel continuo transitare dei diversi convogli esistenziali della gente che spesso si trovano ad essere caricati sulle nostre povere vite. Anzi, sentiamo il dovere di doverli andare a cercare, ad immagine del Buon Pastore. Abbiamo piuttosto la premura di dover essere noi sempre ben manutentati nella carità attraverso l’olio santo della letizia che proviene dal Signore e che, in questa liturgia crismale, viene appropriatamente ben messo in evidenza.

Maria Santissima, Madre di Cristo e madre nostra, sulla quale lo Spirito Santo discese e prese dimora perché potesse avverarsi il mistero dell’Incarnazione, interceda per noi e ci accompagni, affinché ogni nostra azione abbia in Dio il suo inizio e in lui il suo compimento. Amen