Mons. Vincenzo Tizzani

Vincenzo Tizzani, nasce a Roma il 27 giugno 1809, terzogenito di Paolo e di Teresa Bedoni, di origine bolognese e viene battezzato il giorno dopo nella chiesa di San Luigi de’ Francesi. Orfano a tre anni, cresce nella casa di uno zio prete, don Carlo Bedoni, segretario dell’elemosineria Apostolica.
Da vecchio ricorderà le sue intrusioni fanciullesche fra i cardinali del conclave del 1823, il ritorno di Pio VII dopo la caduta di Napoleaone, le feste cittadine per l’elezione papale, l’anno santo del 1835, la comparsa tra i salotti cittadini del giovane abate Giovanni Maria Mastai Ferretti, futuro Pio IX.

Intrapresi gli studi teologici all’università La Sapienza, nel 1832 entra tra i Canonici Regolari Laternanensi di San Pietro in Vincoli e nel 1834 viene ordinato sacerdote.
Dopo aver insegnato Matematica nel collegio della Basilica Romana passa ad insegnare Storia della Chiesa alla Sapienza a soli 28 anni per volontà dell’abate Paolo Del Signore, di cui era diventato sergretario. All’attività di insegnamento affianca in seguito altri incarico, come quello di consultore della Congregazione dell’Indice.

Nel 1837, durante l’epidemia di colera che infuiria a Roma Tizzani di sintingue per il coraggio e l’abnegazione con cui si lancia al soccorso degli ammalati del popolare quartiere di San Pietro in Vincoli. Nel 1838 è a Napoli alla nunziatura apotolica. Nel 1841 dà alle stampe il suo primo libro e diventa superiore di San Pietro in Vincoli. Pochi mesi dopo diventa procuratore generale dell’ordine e abate di S. Agnese fuori le mura; legato strettamente al cenacolo di letterati ed artisti raccolti attorno alla Basilica di S. Pietro in Vincoli e all’Accademia Tiberina, fu diventa socio ordinario della Pontificia Accademia di Archeologia Sacra.

Nella cerchia dei amici c’è anche Gioachino Belli, che poco prima di morire gli affiderà la copia manoscritta dei Sonetti con la richiesta di distruggerli, e che Tizzani, invece conserva e, dopo la morte del poeta, consegna quasi integralmente al figlio.
Viene nominato vescovo di Terni da Gregorio XVI il 3 aprile 1843, ad appena 34 anni, e ordinato nella Basilica di San Pietro in Vincoli il 18 aprile dal Cardinal Luigi Lambruschini, Segretario di Stato. Belli, che aveva sposato proprio una ternana, dedica all’evento tre sonetti, in uno dei quali scrive che “li ternani ch’ hanno vinto un terno”.
All’arrivo di Tizzani la città, appartenente allo stato Pontificio, conta 10000 abitanti, in gran parte contadini fortemente ostili alla Chiesa, e che proprio durante l’episcopato di Tizzani si rivoltarono contro il clero e gli aristocratici, “responsabili della carestia e della fame” e due anni dopo la fine del suo episcopato prenderanno parte alla Repubblica Romana accogliendo trionfalmente Giuseppe Garibaldi.

Nel 1831 proprio da Terni si era mossa la “Vanguardia” del generale Sercognani che aveva tentato di abbattere la resistenza papalina a Rieti per aprirsi la strada verso Roma. In seguito a questi movimenti erano stati esliati molti esponenti delal borghesia ternana, che diventava sempre più insofferente all’amministrazioen ecclesiastica. Nel 1842 la Camera Apostolica aveva concesso al romano Benucci l’uso della Ferriera, che sarà la prima grande fabbrica del territorio ternano.

La gestione della città dei governatori – il gonfaloniere Massarucci e il segretario Capocci – viene accusata di corruzione e irregolarità.
Alcuni rapporti riservati per Pio IX denunciano “mangierie in diversi contratti di appalto, somme profue a capriccio” e “un ospedale si pessiamamente tenuto che la classe misera presceglie piuttosto morire sull apaglia che ivi portarsi”.

L’opera pastorale di monsignor Tizzani è quindi diretta principalmente a riconquistare le masse popolari allentando l’alleanza storica tra clero e possidenti e rivolgendo la sua attenzione in particolare alle classi più indigenti.
I suoi sforzi si concentrano in attività caritativo-assistenziali, all’educazione dei giovani e all’assistenza degli orfani.
La sua prima azione è la radicale ristrutturazione del Seminario diocesano, cui seguono le scuole: in una società in cui 66% degli uomini e l’81% delle donne erano analfabeti, e la scolarizzazione era appannaggio quasi esclusivamente delle classi più abbienti, Tizzani fondò il Liceo, dove lui stesso insegnò, una scuola per ragazze, una serale per i lavoratori e una scuola materna per i bambini fino a 6 anni.
Vuole inoltre creare una Biblioteca pubblica, per la quale mette a disposizione i locali della Curia e il suo stipendio di insegnante. Per avere una scuola moderna fonda anche una nuova congregazione religiosa, le “Oblate di Santa Caterina” .
Tra le altre opere realizzate nei soli cinque anni di episcopato va ricordata l’istituzione – per combattere l’usura – della prima Cassa di Risparmio e la Società di Mutuo Soccorso per gli operai, oltre che gli scavi fatti eseguire all’Anfiteatro Fausto, che permisero di riportare alla luce e datare l’importante monumento e la riscoperta della Vergine di Piedimonte, da lui ribattezzata “Madonna degli olivi”.
In un rapporto personale al Papa si racconta di una rivolta della popolazione a causa del prezzo del grano che Tizzani riuscì a sedare ottenendo dai venditori il prezzo più basso e rifondendoli poi di tasca sua.
Nel 1848 Pio IX accoglie la richiesta di monsignor Tizzani di essere trasferito, anche a causa delle forti difficoltà con il clero ternano, con cui i rapporti erano degenerati proprio a causa delle radicali riforme cui il Vescovo aveva sottoposto la diocesi.
Tizzani torna a Roma per lavorare all’interno della Congregazione dell’Indice (attuale Congregazione per la dottrina della Fede); nel 1849, durante la Repubblica Romana, si stabilisce ad Arpino, mantenendo i contatti con il Papa, rifugiatosi a Gaeta.

Ripreso l’insegnamento universitario, Tizzani viene nominato dal papa anche Cappellano Maggiore dell’Esercito Pontificio. In questi anni si occupa anche, con successo, dell’assistenza ai detenuti politici. “Accaniti nemici del clero e del papa – ricoderà in seguito – minacciavano terribili vendette usciti che fossero dal carcere. Non volevano mai ascoltare prediche né vedere ecclesiastici. Quando fui comandato a predicare loro da Pio IX, la gendarmeria pontificia si vide nel bisogno per garantire la mia persona di circondare armata anche di fucili la grande sala delle prediche”.

Durante la predica, racconterà Tizzani, l’attenzione di tutti fu catturata da un foglio in cui erano scritte ingiurie e minacce contro i preti. Tizzani, dopo averlo letto, lo distrugge in mille pezzi impedendo al brigadiere di fare rapporto al Papa. Alla fine della predica tutti i detenuti lo saluteranno baciandogli la mano, mentre altri si confesseranno.
“Pur non facendo mistero del suo attaccamento alla sovranità temporale del papato – scrive monsignor Croce – nutrendo anzi una profonda avversione per il partito mazzinianoe per quelle che definiva le ‘subdole trame del Piemonte in danno dei diritti dell’Apostolica Sede” il Tizzani sapeva distinguere tra gli uomini e le loro idee”.

E anche il suo successo con i detenuti gli attira le antipatie e i sospetti di una parte della gerarchia.

Nel 1864 è a Marsiglia per l’inaugurazione del santuria di Notre-Dame de la Garde e incontra Napoleone III.

Dal dicembre 1869 al settembre 1870 partecipa al Concilio Vaticano I, sul quale redige un Diario. Moderato, è convinto della necessità di una riformad ella Curia e della chiesa nella prospettiva di Antonio Rosmini, da lui ammirato e difeso contro numerosi avversari.

Dopo la breccia di Porta Pia deve rinunciare a tutti i suoi incarichi, anche se il Ministero della Pubblica Istruzione si era detto disposto (ma contro la volontà di Pio IX) a mantenere la cattedra di Storia Ecclesiastica.
Convinto della necessità di non irrigidirsi in sterili contrapposizioni, frequenta anche intellettuali atei e uomini politici di tutte le tendenze. Le ragioni, spiega, sono anche pastorali. “Per non incontrare le ire del Vaticano molti sacerdoti si astengono dal frequentare increduli e atei. Restano dunque costoro isolati del tutto dal sacerdote cattolico. Quando poi sono in fin di vita si vorrebbe che i moribondi increduli ricevessero la visita del sacerdote per avere i conforti di religione. Allora sono essi respinti come estranei; se fossero stati amici del moribondo niuno oserebbe discacciarli e potrebbero così salvare l’anima dell’infermo”.

Nei suoi ultimi anni di vita scrive, su richiesta del Vaticano, un parere sui restauri dell’abside della basilica di san Giovanni in Laterano; Leone XIII lo nomina Patriarca titolare di Antiochia.
Si spegne serenamente a Roma il 10 gennaio 1892, a 83 anni.

stemma tizzaniBibliografia su Vincenzo Tizzani

Sull’opera pastorale di monsignor Tizzani è stato pubblicato un volume da monsignor Carlo Romani, parroco del Duomo, nel 1993, mentre i diari del Concilio sono stati studiati da Lajos Pasztor e da monsignor Giuseppe Croce, che ha pubblicato nel 1987 in “Archivium Historiae Pontificiae” Una fonte importante per la storia del pontificato di Pio IX e del Concilio Vaticano I – I manoscritti inditi di Vincenzo Tizzani. Pompeo De Angelis ha invece approfondito il rapporto con Giuseppe Gioachino Belli in un volume, mentre l’Istess ha curato la ristampa delle memorie dello stesso monsignor Tizzani dal titolo Reminiscenze ternane, dettate nel 1884 alla nipote Lucrezia in occasione del suo matrimonio con un membro dei Gazzoli, nobile famiglia ternana alla quale apparteneva anche il cardinale Lodovico, prefetto della Congregazione vaticana per il Buon governo al tempo dell’episcopato ternano di monsignor Tizzani.

Il convegno
Si è svolto a Terni, nel Salone della Curia Vescovile venerdì 5 e sabato 6 dicembre il convegno internazionale dedicato a monsignor Vincenzo Tizzani, teologo romano e vescovo di Terni, organizzato dalla Diocesi di Terni Narni Amelia in collaborazione con l’ISTESS e l’Assessorato agli Eventi Valentiniani del Comune di Terni con il patrocinio della CARIT.

 

OSSERVATORE ROMANO DEL 2 APRILE 2016 – Mons. Tizzani e Pio IX 

 

L’episcopato di Mons. Vincenzo Tizzani a Terni (1843-1847)

Tizzani accolto a Terni
Il 26 aprile 1843 Terni si preparava ad accogliere il nuovo vescovo, Vincenzo Tizzani, nominato da Gregorio XVI nel concistoro del 3 aprile. Il viaggio da Roma a Terni non fu, in verità, semplice. Chissà, forse Mons. Tizzani sperimentava fin da quel primo giorno, anche se fu per un incidente fortuito, qualcuna delle difficoltà che avrebbe vissuto nel governo della diocesi affidatagli. Infatti, durante il viaggio la carrozza del presule subì un incidente che lo costrinse ad una lunga sosta fuori programma ancor prima di giungere a Narni, mandando così a monte buona parte dei preparativi che erano stato organizzati per dargli una degna accoglienza. Tuttavia, gli fu riservata un’accoglienza ugualmente calorosa da coloro che avevano atteso sino all’arrivo a tarda sera.
La città in cui Mons. Tizzani entrava contava una popolazione di circa 10.000 abitanti; si sarebbe potuto dire quasi un borgo agricolo della periferia spoletina. L’unica seria attività economica della città era l’agricoltura e la pastorizia; non vi erano industrie, salvo una zecca e piccola fonderia gestita da maestranze straniere. Un esiguo artigianato provvedeva alla produzione dei beni necessari alla vita interna della città e del contado. Dall’indagine promossa dallo stesso Tizzani si rileva, poco dopo il suo arrivo, che, sull’intera popolazione, solo 288 erano possidenti terrieri, mentre una schiera di ben 5441 persone, tra contadini e braccianti, praticamente nullatenenti, erano addetti alla coltivazione della terra. Buona parte dei proprietari terrieri, come i Simonacci, i Setacci, i Manassi, appartenevano anch’essi al mondo contadino. Poche famiglie, tra cui i Gazzoli , vantavano una vera e propria casa patrizia in città e un titolo nobiliare. La gran parte della popolazione viveva di stenti, alle dirette dipendenze dei possidenti che gestivano le loro proprietà con metodi semi-feudali ; è significativo che nel 1816 venne effettuata una distribuzione di pane chiamata “sfamo del popolo”. I risvolti sul piano sanitario sono facilmente immaginabili: negli anni Venti dell’Ottocento, per fare un solo esempio, era endemico il tifo petecchiale. Nel 1817 a Terni si contano 29 bambini “esposti”, che, con una crescita esponenziale lungo la prima metà del XIX secolo, diventano ben 427 nel 1846 e 620 nel 1865. Anche l’aspetto della città non è esaltante. La Terni degli anni Trenta si presenta come “…un intrico di viuzze, orti, pochi palazzi, molte chiese, (nel 1844 gli edifici sacri sono ben 67) poco pulita e male illuminata”.
In questo contesto di povertà e arretratezza la società ternana era, tuttavia, percorsa da robuste correnti sotterranee liberali ed anticlericali. La vicinanza al confine dello Stato e a Roma, collegata attraverso la valle del Tevere e la Flaminia, in una posizione di frequente passaggio, favorì il diffondersi delle idee risorgimentali che culminarono nel 1831 in un fallito attacco alla roccaforte papalina di Rieti e nel 1847 in una rivolta a Terni “contro il clero e gli aristocratici, responsabili della carestia e della fame.”
Due anni dopo, nel 1849, decine di ternani accorsero alla difesa di Roma liberata, fra i quali il futuro sindaco della città, Pietro Faustini, che avrà un ruolo non secondario negli scontri romani, e Giovanni Froscianti, un piccolo possidente di Collescipoli, ex seminarista, passato all’altro versante delle barricate. In seguito alla caduta di Roma, Garibaldi fu accolto trionfalmente a Terni da quella parte della società cittadina, idealmente raccolta attorno al nucleo di cospiratori con a capo il conte Federico Fratini, che organizzerà nel 1853 un altro tentativo insurrezionale che sarà comunque sventato. Non è un caso dunque che proprio a Terni Garibaldi raccolse i volontari diretti a Monterotondo e a Mentana, dove morirono ben diciassette ternani.
La fama di quest’indole cittadina doveva essere ben diffusa anche fuori dei confini dello Stato Pontificio, tanto che Terni fu meta di transfughi e perseguitati politici che dalle altre regioni d’Italia cercavano qui rifugio e accoglienza. E’ il caso di un certo Bastoni di Ravenna, volontario delle spedizioni garibaldine in Sicilia, il quale trova a Terni rifugio dalle persecuzioni subite da parte della sua stessa famiglia benestante, o il carbonaro Trippa, insorto a Napoli nei moti del 1827-’31, che fuggì prima in Puglia e poi trovò riparo a Collestatte, attraversando rocambolescamente il confine fra il Regno delle due Sicilie e lo Stato Pontificio.
Anche le idee mazziniane ebbero un largo seguito fra i ternani, come un tal Sorcino, giustiziato poco prima del 1860 per aver ucciso un prete di Montefalco e accusato di far parte del circolo carbonaro che cospirava per l’unità d’Italia. Gli umori anticlericali non limitavano la loro influenza alle sole classi sociali umili, ma trovavano corrispondenza nel laicismo liberale delle élites culturali e politiche cittadine, che in seguito diedero luogo alla nascita di un “Comizio anticlericale Umbro” avente come motto “Anticlericalismo e rinnovamento”. Anche il brigantaggio, fenomeno diffuso in queste regioni di confine ed assai fiorente nelle periferie ternane e narnesi, era intriso di sentimenti anticlericali. Non era raro che, oltre ai criminali comuni, le fila dei briganti fossero accresciute da fuoriusciti e perseguitati politici. Questo fece sì che negli anni ’50 e ’60 non fossero rari gli assalti a danno di chierici, soprattutto a Narni.
Il fatto che l’anticlericalismo fosse strettamente connesso col risentimento causato dall’ingiustizia sociale, trovava a Terni un ulteriore motivo nella memoria dei fatti avvenuti nel lontano 1564, quando una rivolta del popolo contro la nobiltà possidente fu repressa nel sangue dall’inviato papale Monti dei Valenti con atti rimasti impressi nella memoria collettiva per la loro crudeltà. Memoria tramandata nei racconti e nelle ballate popolari, e ancora viva a tre secoli di distanza, tanto che il primo giornale operaio edito a Terni alla fine dell’Ottocento fu titolato “Il Banderaro” con riferimento a quei fatti di sangue.
La parte del popolo che non giungeva ad assumere gli atteggiamenti più estremi di anticlericalismo coltivava, comunque, nei confronti della Chiesa una sorda diffidenza ed ostilità. Questa attitudine si manifestava anche nei bambini, spesso pronti, nelle strade, a azioni di teppismo contro i preti. Vani risultarono anche i tentativi operati da alcuni parroci di convocare a Terni predicatori celebri, fiduciosi nella loro maggiore forza persuasiva: le chiese restavano ugualmente quasi deserte. Comunque, una serie di apparizioni miracolose avvenute lungo l’Ottocento in vari luoghi della campagna ternana, mostrano la forte tensione che vi era nel popolo. Si ricordano l’apparizione a Rivo di una Madonna su un albero di noce, a Colle Licino di una donna vestita di azzurro, e nella cattedrale di Terni si osservò a lungo un’immagine della Vergine che dicevano avesse mosso gli occhi. Questi fenomeni si collegavano a forme di pietà popolare spesso svincolate dal controllo dell’istituzione religiosa e che davano luogo a manifestazioni spontanee di pellegrinaggio e festa, non accompagnate però da celebrazioni liturgiche o dalla presenza di ecclesiastici. In verità tali manifestazioni si registrano in molte zone dell’Italia, come dimostra l’interessante volume di Joachim Bouflet e Philippe Boutry che raccoglie le apparizioni della Madonna dal XVI al XIX secolo. Dall’esame delle manifestazioni mariane si evince che esse si intensificano nei momenti cruciali della vita dei popoli. La città di Terni, come tante altre città, ne fu interessata.
E’ però importante rilevare che la marginalità della Chiesa ternana nella vita pubblica della città invece di provocare una reazione “missionaria”, spinse il clero a rinchiudere sempre più le loro attività religiose all’interno delle chiese. Il timore di esporsi, insomma, prevaleva sull’impegno a rendere presente la Chiesa nella vita della città. Un esempio emblematico di questo “ritiro” dalla scena fu la sospensione della tradizionale processione cittadina delle “Rogazioni”. Se si pensa al significato che tale processione aveva, ossia l’invocazione per proteggere le colture dal maltempo, sospenderla in una società contadina significava abdicare di fatto al ministero pastorale. Fu, quindi, particolarmente significativa la decisione presa da Tizzani di reintrodurla. E lui lo nota con soddisfazione nelle sue Reminiscenze. Parla di processione ben riuscita che si svolse senza incontrare un’eccessiva opposizione popolare, tranne qualche modesta irrisione.
La nomina a vescovo di Terni
La scelta di un vescovo non proveniente dal clero di Terni fu ritenuta quasi scontata, visto che l’ultimo sacerdote della Diocesi a ricoprire la carica di vescovo della città fu Francesco Angelo Rapaccioli, nativo di Collescipoli, eletto nel 1646. Dopo di lui, tutti i vescovi provengono da zone limitrofe (Marche, Umbria o Lazio), dei quali due da Roma, secondo la consuetudine che prevedeva comunque una sorta di “regionalizzazione” degli episcopati. E, comunque, Terni non aveva mai avuto presuli di livello culturale o pastorale particolarmente elevato. Se pensiamo alle due diocesi vicine di Spoleto e Perugia, che nell’Ottocento hanno avuto due Papi, si comprende la distanza. Dei predecessori di Tizzani, solamente mons. Sperello Sperelli – ma siamo nel 1698 – passò a ricoprire la carica di Vicegerente a Roma e assessore al Sant’Ufficio , lasciando però come vescovo a Terni il fratello. Anche la stessa permanenza dei vescovi nella sede ternana era stata alquanto precaria; pochi terminarono il loro ministero nella Diocesi (su 12 predecessori di Tizzani, 5 rinunciarono al Vescovato e solo 5 morirono a Terni).
La nomina episcopale di Tizzani fu comunque una sorpresa tanto per lui che per la cerchia dei suoi amici, tra i quali il più noto era il poeta Giuseppe Gioacchino Belli. Tizzani non accolse in verità con entusiasmo la sua nomina a Terni. Più volte ripete negli scritti la titubanza nell’accettare la nomina episcopale . Ne parla direttamente agli stessi diocesani in apertura della sua Epistola Pastoralis del 1843: “Fin dal primo giorno … che il Sommo Pontefice Gregorio XVI, a mia insaputa, comandò che succedessi a governare la vostra diletta Chiesa … mi prostrai ai piedi di Sua Santità perché non volesse sottoporre la mia debolezza a tanto onere… Dopo che venni a sapere che il Sommo Pontefice per nulla avrebbe ascoltato queste mie suppliche,… abbracciai il nuovo compito,… abbandonando immediatamente gli studi umanistici del tempo passato, le compagnie e la quiete claustrale.”
La brillante carriera ecclesiastica del Canonico Lateranense (prima uditore della Nunziatura di Napoli, poi procuratore generale dell’Ordine e infine abate di S. Agnese fuori le mura all’età di soli 32 anni) era affiancata da una intensa attività intellettuale che lo portò a ricoprire la cattedra di Storia Ecclesiastica all’Università romana. Legato strettamente al cenacolo di letterati ed artisti raccolti attorno alla Basilica di S. Pietro in Vincoli e all’Accademia Tiberina, fu anche socio ordinario della Pontificia Accademia di Archeologia Sacra e membro dell’Accademia Imperiale delle Scienze, Lettere ed Arti di Marsiglia. Autore fecondo di opere erudite su temi di archeologia e storia della Chiesa, per Mons. Tizzani la nomina episcopale e il conseguente trasferimento e allontanamento dagli studi di cui era appassionato doveva essere del tutto estranea ai suoi progetti. Non era, del resto, particolarmente impegnativo l’incarico pastorale di rettore della Chiesa di Sant’Agnese fuori le Mura che Tizzani ebbe nel 1941. Il neo vescovo non ne parla come un’esperienza che lo avesse segnato.
Invece, la cerchia dei colti amici romani si rese ben conto della perdita che gli studi storici avrebbero subito a Roma con la partenza di Tizzani, e se ne fece interprete il Belli con tre suoi sonetti in cui esprimeva il dispiacere della perdita di una mente così acuta, oltre che dell’amico, e il conseguente strabiliante colpo di fortuna per una città di relativa importanza come Terni. E’ ben noto il sonetto nel quale il poeta afferma: “…li ternani ch’ hanno vinto un terno.”
Primi elementi di un progetto pastorale
Al momento della consacrazione, come era d’uso, il neo-vescovo indirizzò una Lettera Pastorale al clero e al popolo di Terni nella quale rivolgeva il saluto e la benedizione ai fedeli che si apprestava a guidare. La Lettera non conteneva molto di più che generiche formule di circostanza, salvo alcuni interessanti riferimenti, che aiutano a capire, fin da quei primi passi, il tenore dell’azione pastorale che Tizzani intraprenderà. Si tratta, in particolar modo, dell’invito rivolto al clero ad un esercizio “prudente e tollerante” del ministero pastorale. Con questi due aggettivi Mons. Tizzani sembra voler conferire un’impronta di pacata benevolenza ad un episcopato che, come avrà sicuramente avuto modo di sapere in anticipo dal Belli, buon conoscitore della realtà ternana, avrebbe incontrato non pochi ostacoli in seno alla società e al clero stesso di Terni. Altrettanto interessante è l’accenno che Tizzani fa circa la necessità di una cura particolare per “le pianticelle più tenere della vostra vigna”. Qui il neo eletto rivela quell’attenzione per le problematiche dell’infanzia che si concretizzerà nelle opere sociali promosse nel corso del suo episcopato.
Infine, va notato il duplice riferimento che egli fa ai poveri, rivelatore, come nel caso precedente, di una sensibilità spiccata verso la problematica sociale già evidente nei suoi anni giovanili a Roma, come lo stesso Belli ricorda. Tizzani, rivolgendosi ai sacerdoti, li invita a respingere “le leggi del mondo, non vi spaventi lo squallore della povertà, non vi allontani dall’amore la miseria della plebe. Diffondete ovunque la speranza della mia prossima visita, specialmente presso il letto dei poveri” e l’esortazione ai maggiorenti della società cittadina affinché “…il potere che possedete, lo esercitiate umanamente verso i sudditi e che le ricchezze, delle quali vi fu generosa l’infinita Provvidenza, piuttosto che sprecarle in lussi inutili, le distribuiate ai poveri”. Sono affermazioni di una certa audacia, considerata la situazione politico-sociale del momento. Lo stesso Tizzani affermava che erano “…tempi tristissimi per imminenti politici rovesci che davan molto da pensare agli uomini seri e niente portati alle novità, quasi sempre pericolose.”
L’azione pastorale di Mons. Tizzani a Terni
Appena giunto nella nuova sede, Tizzani volle iniziare il suo ministero con una rilevazione statistica della Diocesi. Egli scelse questo strumento moderno, comunque non consueto nel governo pastorale di una diocesi, per una pianificazione del lavoro che lo attendeva e ne curò la pubblicazione in un fascicoletto ricchissimo di dati. Questi sono elaborati secondo moderni criteri statistici, come, ad esempio, le tabelle sui tassi di incidenza del fenomeno criminale in relazione alla popolazione di ciascun comune della diocesi o le tabelle comparative del tasso di natalità e mortalità dall’anno 1744 al 1843, corredate da osservazioni sull’incremento e decremento della popolazione, scorporati per zona. Insomma, fin dall’inizio, il vescovo vuole affrontare con decisione e con competenza il nuovo ministero che gli era stato affidato. Molti anni dopo, nel 1884, con sguardo retrospettivo, il presule definisce così il programma della sua azione di governo: “Ben presto conobbi che la città di Terni meritava d’essere migliorata in molte cose, nella coltura del popolo, nelle arti e nel commercio.” E’ una breve ma efficace sintesi di quel che egli intese compiere come vescovo. Sulla scia dei dettami tridentini, Tizzani iniziò immediatamente la visita pastorale. Scrive nelle Reminiscenze: “vidi quasi tutte le chiese di Terni e dei circonvicini paesi. Restai in genere molto soddisfatto della proprietà in cui teneansi i sacri templi e della bontà delle popolazioni a quanto mi si affermava dai rispettivi parrochi”.
Ho appena accennato al fatto che Tizzani dovette fare i conti con un sentimento anticlericale piuttosto diffuso. Tuttavia, il presule non scelse lo scontro frontale. Preferì un’azione pastorale che, sulla linea della “prudenza e tolleranza” richiesta nella Lettera Pastorale, mirasse a riconquistare le simpatie di un popolo umiliato dall’ingiustizia sociale e oppresso da un ordine semifeudale, situazione alla quale l’istituzione ecclesiastica si era mostrata per troppo tempo indifferente e, quindi, di fatto consenziente. Tizzani scelse di allentare la solidarietà storica fra clero e possidenti, fra Chiesa e oscurantismo, e rivolse la sua attenzione in particolare alle classi più indigenti. In questo contesto si colloca il grande sforzo che egli fece nel campo caritativo-assistenziale. Lo scopo era chiaro: rimarginare il distacco fra la Chiesa e la stragrande maggioranza della popolazione. Il suo impegno, quindi, pur restando nel solco tradizionale dei compiti caritativi dell’autorità ecclesiastica, si poneva come un tentativo di penetrazione sociale in un tessuto che si era sempre più estraniato dalla vita della Chiesa divenendone anche ostile. E, in effetti, fu ben chiaro, durante l’episcopato ternano, lo stretto legame con il popolo. Fu anzi questo uno dei motivi di scontro con le autorità di governo della città. In un rapporto segreto del 23 dicembre del 1847, inviato dal cardinale Gabriele Ferretti al Segretario di Stato e presentato poi al Papa, l’estensore, dopo l’elogio dell’attività del vescovo, si legge: “Alieno dal lusso, splendido col Clero che spesso ha convocato attorno a sé per opere spirituali, disinteressato, non orgoglioso, accessibile a chicchessia, sino al cinque gennaro ebbe un popolo solo”.
Un vescovo sociale
Con decisione il neo vescovo si impegnò per l’educazione dei ragazzi di Terni. In città non mancavano istituzioni a carattere assistenziale. La già ricordata Statistica della Diocesi censisce numerose realtà con finalità sociali presenti a Terni sin dall’inizio dell’Ottocento: il Sacro Monte di Pietà, l’Ammasso dei cereali, la Deputazione di carità per le carceri del Governo, l’Ospedale, l’Opera Pia Teofili per dotazione di zitelle e sollievo de’ mendici, l’Opera Pia Galeani per sussidii dotali a monache. A queste sono da aggiungere ben 16 Confraternite e la Congregazione della Buona Morte. Per l’infanzia in difficoltà esistevano un Orfanatrofio (maschile) e un Conservatorio Pio delle povere orfane, con 21 giovani ospiti.
Tizzani intuì che, oltre all’opera assistenziale finora svolta, era necessario spendere nuove energie per l’istruzione dei giovani. In questo versante si giocava sia la presenza della Chiesa sia il futuro della città. Ad un mese dall’arrivo arrivo ne scrive al Belli. E questi gli risponde: “Vedo che il solito carattere di attività seguendovi nella novella dimora, già Vi dispone ad usare le interne risorse del vostro spirito ed impiegar gli effetti della esterna influenza a pro della civiltà e degli essenziali bisogni di un paese che, se di qualche cosa difetta, ciò è appunto di più ampli e giudiziosi mezzi di educazione.” Da questo punto di vista la situazione in diocesi era assai carente: “Appena entrai in Terni come Vescovo – ricorderà in seguito Tizzani – pensai a provvedere quella Città di mezzi per la educazione cristiana e civile della gioventù. Imperocché sapevo io assai bene quanto meritasse quel generoso popolo di essere pienamente istruito. I miei antecessori o vecchi, o accasciati da infermità non poterono soddisfare secondo i loro desideri a sì grande bisogno. Il Seminario fu il mio primo oggetto su cui fissai l’attenzione, venne quindi il Liceo. Finalmente la scuola per le fanciulle d’ogni ordine di cittadini.” Il grado di istruzione in Umbria a metà Ottocento era assai basso: il 66,5% degli uomini e l’81,5% delle donne erano analfabeti rispetto al ben più basso 37,63 % di Roma. A questa situazione Tizzani volle rispondere con un chiaro progetto: dotare la diocesi di una rete di istituzioni educative di diverso livello e finalità.
Anzitutto il Seminario. E’ il primo luogo che Tizzani visita a Terni. Vi si reca il giorno stesso del suo arrivo, a tarda notte, mentre i seminaristi stanno per andare a letto. Ne assume la carica di rettore, scrive le nuove Costituzioni, amplia e ristruttura i locali. La cura del Seminario lo vede assiduamente presente assieme ai giovani alunni, tanto che il Belli lo rimprovera amichevolmente di esagerare con questa sua attività. Poi viene il Liceo, nel quale il vescovo stesso si assume l’incarico di insegnare metafisica ed etica, cattedre rimaste scoperte per l’irreperibilità di insegnanti in grado di ricoprirle.
Ma i punti forse più qualificanti e innovativi del suo progetto educativo sono l’istituzione di una scuola per ragazze, l’Istituto del Bambin Gesù, di una scuola serale per giovanissimi lavoratori, la Scuola notturna per artigianelli e di una Scuola Infantile di Carità per i bambini fra i 2 ½ e i 6 anni di età, “…principalmente i figli di vedove, o di artigiani carichi di numerosa prole, ecc… che restano abbandonati a se stessi e privi di ogni educazione.” L’ambizioso progetto era inoltre coronato dalla creazione di una biblioteca pubblica, per la quale il vescovo mette a disposizione dell’amministrazione comunale alcuni locali dell’episcopio e il suo stipendio di insegnante del Liceo. Tutti e tre gli istituti erano rivolti alle fasce più deboli della popolazione ternana. Infatti anche se nell’Istituto del Bambin Gesù due delle tre classi previste erano riservate rispettivamente alle figlie della nobiltà e della borghesia, in ogni caso esse rispondevano al bisogno di emancipazione delle giovani donne, fino ad allora escluse da ogni possibilità di accedere ad una educazione di livello pari a quello riservato ai ragazzi.
I tre istituti sono saldamente controllati dal Tizzani che ha intenzione di farne scuole di stampo moderno, con programmi, metodi e docenti di buon livello. Egli stesso elabora un Metodo della scuola notturna, in cui sono dettagliatamente elencati i traguardi educativi da conseguire per ogni classe, i testi da adottare e le competenze che i docenti della varie materie devono possedere. La creazione dell’Istituto del Bambin Gesù evidenzia ancora meglio la determinazione del vescovo nella realizzazione del suo progetto, per la quale non pochi furono gli ostacoli da superare. Egli aveva trovato nel convento di S. Caterina un educandato per ragazze “…quasi deserto. Vi stavano pochissime oblate, semplici ma rozze, buone ma incapaci di dare una educazione forte alle fanciulle. … Avrebbe la Saveria (la superiora) desiderato di tenere seco solo qualche giovinetta del patriziato ed averne esclusivamente la cura. A me al contrario premevano le povere figlie del popolo e di poi quelle delle altre classi della società.” Tizzani, non potendo far conto su questa realtà già esistente, fonda ex novo una comunità di religiose, Le Oblate di S. Caterina, di cui scrive le Regole e per la quale recluta nuove leve fra le donne colte e capaci della città, allontanando le religiose che si oppongono alle innovazioni del suo programma.
Infine reperisce, a costo di una dura battaglia legale, i fondi necessari al mantenimento dell’Istituto. Tale energica azione mirava ad ottenere il duplice scopo di sbarazzarsi di strutture ecclesiastiche incancrenite e impermeabili alle novità e di conquistarsi la cittadinanza di Terni con l’evidente utilità pubblica della sua riforma. Lo si evince, ad esempio, dal fatto che, pur affermando di essere interessato soprattutto all’istruzione delle ragazze più povere, egli non esita a fare spazio alle figlie del ceto nobile e borghese, conquistandosene così le simpatie. Anche per la gestione e il finanziamento della Scuola Infantile di Carità e della Scuola notturna, Tizzani sceglie di coinvolgere la cittadinanza e la parte più sensibile del clero, responsabilizzando quante più persone possibile alla necessità di porre rimedio all’ingiustizia sociale, e coinvolgendole così nel suo piano di riforma. I risultati di questo impegno furono lusinghieri, e a pochi mesi di distanza dalla sua nascita l’Istituto del Bambin Gesù contava già più di 300 alunne. E’ una cifra di tutto rispetto se consideriamo che corrisponde a circa il 6% della popolazione femminile di Terni, contro un 9% di bambine scolarizzate negli stessi anni a Roma, dove si poteva contare su strutture educative di ben altro peso e tradizione. A fianco della cultura elementare, il vescovo volle anche migliorare quella di livello superiore, fondando una Cattedra di disegno applicato alle arti, per la quale chiese l’autorizzazione alla S. Congregazione degli Studi e reclutò la docenza.
Il progetto di Tizzani tendeva alla riconquista delle fasce popolari, senza trascurare quelle patrizie e borghesi. Nella mente del vescovo era la premessa necessaria per far tornare la Chiesa al fianco e non più contrapposta alla gente, aprendo così nuovi spazi ad una più incisiva azione pastorale. Il dibattito sul ruolo della scuola e sul tipo di istruzione da impartire era particolarmente vivace in quegli anni, fra chi riteneva si dovesse privilegiare una formazione morale più che culturale, tendente soprattutto al controllo sociale, e chi invece, sull’onda delle idee liberali che andavano diffondendosi anche nello Stato Pontificio, spingeva per un’istruzione più rispondente alle esigenze della vita reale delle classi popolari. A questa seconda corrente di pensiero apparteneva il settimanale L’Artigianello, nato nel 1845 a Roma ad opera di Ottavio Gigli, che pubblicò in data 7 febbraio 1846 il discorso di Mons. Tizzani tenuto in occasione dell’apertura della Scuola Notturna per artigianelli. D’altronde coniugare la formazione culturale con quella religiosa, soprattutto a vantaggio delle fasce sociali più deboli, è lo sforzo che sostengono negli stessi anni in Italia molte altre figure di educatori cattolici, si pensi a don Bosco, ai fratelli Cavanis e, poco più tardi, a don Orione ed Annibale Di Francia, assieme ad una schiera di meno note personalità femminili, che tra il 1814 e il 1860 danno vita a ben 115 istituti femminili di carità e 30 maschili con la netta prevalenza delle finalità educative. E’ un fenomeno che, specialmente nel Nord Italia, si accompagna con l’incipiente sviluppo industriale e la nascita di un proletariato urbano. In questo senso l’azione di Tizzani è volta alla sprovincializzazione della città di Terni, chiusa fra arretratezza culturale e squilibrio sociale. E così facendo pone di fatto le basi per il futuro sviluppo industriale della regione, di cui, in quegli anni, emergevano i primi segni. Nei piani del vescovo la riforma educativa aveva lo scopo di allargare gli orizzonti della città e metterla in linea con quanto avveniva in altre regioni più evolute della penisola: “Non vi ha forse città del Regno Lombardo-Veneto, del Piemonte e della Toscana ove questa caritatevole istituzione (la scuola) non abbia allignato e non cominci a dare i suoi frutti. Poche scuole infantili dei poveri possiede per ora il nostro Stato, ma in molte città si è già diffuso il santo zelo.”
Le scelte di Tizzani spingevano ad uscire dal concetto della carità intesa come elemosina individuale e occasionale, per creare istituzioni stabili che andassero oltre il contingente o le emergenze. In tal modo si fornivano strumenti di elevazione sociale e si aprivano prospettive più favorevoli alle fasce più deboli. Potremmo dire che il vescovo aveva l’ambizione di immettere Terni in una “Era novella”. Ne parla con il Belli in una conversazione del 7 marzo 1846. Il poeta romano definisce tale azione come una “mano che con dolce violenza li determina a movimenti nuovi di spirito verso una meta di gloria…La prossima generazione sarà quindi capace di ben altre opere che di caccia e di giuoco.”
Tizzani, insomma, è come alla radice di quel cattolicesimo sociale che si manifesterà in tutta la sua chiarezza alla fine dell’Ottocento. Ed è in questa linea che egli, all’attenzione per la promozione culturale della città, aggiunse anche quella per un nuovo e più razionale sviluppo economico. L’occasione gli fu offerta dalla piaga dell’usura che divorava particolarmente il ceto dei commercianti. Per combatterla prese direttamente l’iniziativa di creare una Cassa di Risparmio cittadina. Inviò una lettera al Gonfaloniere della città, Giuseppe Massarucci e ad altri amministratori per sollecitare tale fondazione denunciando: “le avarie che continuamente si fanno dagli usurai a danno della povera classe industriale”. Una commissione apposita riunì 115 soci i quali raccolsero un capitale iniziale di 1150 scudi romani. Il cardinale Gazzoli patrocinò la domanda presso il Segretario di Stato, cardinale Mattei, e la Cassa venne eretta ad ente morale con Decreto del 5 settembre 1846 (firmato dal Cardinale Gizzi); fu inaugurata il 30 novembre ed aperta al pubblico il 1° dicembre dello stesso anno. IL vescovo era ben cosciente che si trattava di uno strumento moderno indispensabile per la crescita del commercio e di un’industria manifatturiera che oltrepassasse i limiti della pura sussistenza. Scrive nelle Reminiscenze che a Terni “finalmente s’istituì per ravvivare il commercio cittadino una cassa di risparmio capace per mezzo dei prestiti di soddisfare ai bisogni degli onesti commercianti”.
Non fu un’opera personale sganciata dal complesso della società ternana; al contrario, egli volle che fin dal suo nascere questa istituzione fosse un’espressione dell’intera società. Tale caratteristica, comune a tante analoghe istituzioni realizzatesi altrove, permise alla Cassa di vivere con qualche stabilità. In un decennio le azioni giunsero al valore di 35.434 scudi. E ancora nel 1895, nonostante avesse attraversato tempi non facili, era l’Istituto di Credito più importante della provincia. Tra l’altro, sempre nel 1846, Tizzani promosse la fondazione della Società di Mutuo soccorso fra gli operai e si adoperò per ricostituire la Società per le Ferriere, per l’estrazione di minerale ferroso nel territorio di Spoleto, Gualdo Tadino e Tolfa, con un notevole aumento di capitale. E non mancò di favorire lo sviluppo dell’industria olearia ternana. Anche in questo caso Tizzani aveva compreso che era necessario aiutare l’evoluzione della cultura agricola locale, importando i metodi più moderni di coltivazione e produzione delle Puglie, conosciuta dal presule come florida piazza del commercio dell’olio d’oliva.
La cultura a servizio di una nuova città
Il professore di storia ecclesiastica e accademico di archeologia sacra non mise da parte, nella sua nuova residenza episcopale, la passione per gli studi e la ricerca. Egli trovò nell’isolata parrocchia di Piedimonte, dove si recava di frequente, la quiete e la solitudine che gli permetteva di continuare a coltivare i suoi interessi eruditi. Lì, probabilmente, completò il IV tomo della sua Storia Ecclesiastica di cui, nel 1844, curò di persona la stampa recandosi a Roma. In verità, già il giorno successivo alla sua entrata in diocesi aveva indagato sulle origini della città, la sua storia remota e più recente. Antiche vestigia erano appena visibili, confuse nel paesaggio urbano, ma davano conto di un passato non irrilevante. Tizzani sapeva che capire una città voleva dire anche scavarne le radici storiche, non fermarsi al suo presente ma provare a delineare le vicende antiche per poterne poi anche pianificare un migliore assetto futuro.
In questa prospettiva si collocano i lavori di scavo che fece eseguire fra le rovine dell’antico anfiteatro Fausto. Erano rimasti solo pochi resti, accanto all’edificio dell’episcopio, ma Tizzani ne intuì la rilevanza archeologica e chiamò l’architetto Giuseppe Riccardi per pianificare l’opera di scavo e il successivo rilievo topografico. Fra lo scetticismo iniziale dei più, emerse alla luce una parte importante dell’edificio romano ed alcuni reperti che permisero di stabilire una datazione del manufatto. Fu rilevata la pianta dell’edificio e pubblicata la scoperta sull’Album di Roma. Scrive Tizzani: “In quella circostanza scavandosi per la profondità di più metri e verso l’ingresso del giardino, trovai dopo i sedimenti fluviali alcuni frammenti di terre cotte finissime di colore rossastro ed una piccola coppa pur di terra cotta di simile colore e di gusto squisito. Per la qual cosa mi persuasi avere goduto la città di Terni in epoca remotissima una civiltà molto avanzata, e perciò potersi credere fondata la città in tempi anteriori a Roma”. Il “nuovo” anfiteatro restituito alla città nel suo antico splendore divenne meta di visita di numerosi ternani, stupiti di quanto potesse nascondersi sotto i detriti dei secoli, come riappropriandosi delle proprie radici storiche.
Altrettanto significativo è l’episodio della scoperta dell’immagine della Vergine a Piedimonte. Durante una delle frequenti visite alla piccola chiesa Tizzani nota sulle mura spoglie “…un non so che d’irregolare nella superficie e quasi intuitivamente parvemi ravvisare sotto lo strato di calce un’immagine della Vergine.” Il vescovo raschia via la pittura recente e trova così l’affresco antico che era stato ricoperto di calce: “Continuai il paziente lavoro fino allo intero discoprimento della pittura.” La scoperta, straordinaria ed inattesa, dell’immagine di cui si era persa memoria permette a Tizzani di restituire a Terni una parte del suo patrimonio religioso caduto in oblio. Si occupa personalmente del restauro dell’immagine, facendo giungere da Roma colori e pennelli; vi aggiunge di suo pugno il fregio di un ramo di ulivo; attribuisce alla Vergine il titolo di Madonna degli Olivi, per la presenza di numerose piante in quella zona collinare, e concede 40 giorni di indulgenza per “chiunque divotamente visitato avesse la cara immagine.”
L’acume dell’esperto di antichità cristiane permette in questo modo a Tizzani di fare di un luogo di culto periferico e semiabbandonato una meta di pellegrinaggio che ravviva la religiosità popolare incanalandola però in modo da non sfuggire al rapporto con l’istituzione ecclesiastica, come abbiamo visto invece avvenire abitualmente in altre espressioni di religiosità popolare. Piedimonte divenne un luogo affollato “di confraternite anche delle provincie napoletane le quali divotamente venivano a Piedimonte ad offerire alla Vergine i loro doni. …Addivenne quel luogo un Santuario per le molte grazie concesse da Maria a’ suoi divoti.”
Infine non vanno trascurati gli interessi di carattere scientifico-naturalistico di Tizzani, che rivelano non solo la vastità della sua cultura ma anche l’apertura alla modernità. Ne abbiamo due esempi evidenti nella dotazione della cattedrale del parafulmine, e nell’esplorazione, condotta di persona, delle cavità naturali sotto la casa parrocchiale di Cesi, con la scoperta di un complesso di grotte con stalattiti e stalagmiti.
Il vescovo e la città
Dai documenti pervenutici è difficile delineare un profilo dell’azione pastorale di Tizzani a Terni. Nei diversi suoi scritti si trovano accenni ai vari aspetti pastorali, ma non sono sufficienti per delineare un quadro esaustivo. Emerge più chiara la figura di un pastore attento alla cura delle anime, alla riorganizzazione della Diocesi e a un rapporto più immediato e diretto con la città. Le fonti sono più abbondanti per quel che concerne l’impegno di Tizzani per lo sviluppo culturale, sociale ed economico della città. Questo porta a dire che era in lui vivissimo il desiderio di riacquistare un nuovo rapporto con la città e in particolare con il popolo. Probabilmente Tizzani fu spinto a questa scelta anche dalla grave situazione sociale che trovò. Sarebbe stato difficile operare pastoralmente senza mettere mano ad una promozione anche culturale della città. Fu certamente pesante tale impegno a tutto campo. Ne troviamo traccia nella lettera di rinuncia alla Diocesi, che lui stesso lesse a Pio IX. Scrive di “gravissimi scandali inveterati nella sua Diocesi per opera di uomini irreligiosi e mal sofferenti l’autorità ecclesiastica…e che fra i parrochi stessi della Città regna una insubordinazione all’autorità superiore…, che nel clero regolare trovansi individui i quali…rendonsi propagatori di discordie e promotori anche di mal costume, che i poveri di Gesù Cristo non trovan rifugio nelle loro infermità, essendo le rendite dell’Ospedale malversate da amministratori che consumano la loro vita nei caffè”. E chiude: “per tutte queste e altre ragioni che per brevità si tralasciano…, dopo maturo esame…dopo aver perdonato di cuore ai suoi persecutori e calunniatori, si vede costretto, benché con estremo dolore del proprio animo, ad abbandonare la sua diocesi” .
Lo stile di governo da lui adottato sottintendeva un’idea di vescovo e del suo rapporto con la città. L’inizio del secolo aveva visto affermarsi il mito del ritorno alla cristianità medievale con la sottomissione delle istituzioni temporali all’autorità spirituale dalla quale ricevono legittimità e indirizzo. Questa mentalità intransigente suscitò un malcontento che trovò la Chiesa del tutto impreparata. Se è vero infatti che la moltiplicazione delle attività assistenziali aveva cercato di portare conforto alle grandi povertà, nello stesso tempo l’insufficienza dei provvedimenti e la loro poca incidenza nelle cause di tali povertà finì per alienare settori notevoli della popolazione dalla Chiesa. Alla visione intransigente si contrapponeva, come è noto, un’istanza di rinnovamento ecclesiale con una ridiscussione del progetto di cristianità. Tra gli interpreti principali di tale linea di pensiero c’è Rosmini che, a partire dalla seconda metà degli anni ’20, cercò di introdurre elementi di distinzione tra società civile e società religiosa. Egli sottolineava come la Chiesa dovesse sì esercitare un’influenza sulla società ma con strumenti di persuasione morale e non con mezzi coercitivi ed autoritari. Anche Tizzani si avvicina a questa posizione e, pur non condividendo totalmente il pensiero del Rosmini, ne difende però la legittimità all’interno di un necessario pluralismo.
L’azione pastorale di Tizzani potremmo perciò definirla come un’opera di rimarginazione di quella distanza viziosa che separava la Chiesa e la società. Per troppo tempo erano vissute non solo separate, ma contrapposte. La divaricazione aveva impoverito ambedue. E la Chiesa aveva perso la sua funzione di fermento della vita cittadina. Tizzani, aiutato in questo dalla sua ricchezza culturale, e convinto che spettasse alla Chiesa una funzione di guida, si pose su una linea che accomunava sia i tradizionalisti intransigenti che gli innovatori. E’ stupefacente, in questo senso, la molteplicità di ruoli che il Tizzani assunse anche nella diocesi ternana. Non è stato solo pastore d’anime, ma anche riformatore dell’ordine sociale secondo un progetto illuminato di società cristiana ispirato a ideali di giustizia sociale, fondatore di istituzioni culturali e sociali, propulsore di un ordine più moderno dell’economia, cultore di storia e archeologia sacra, ideatore di un nuovo modo di pensare e vivere la città riscoprendone e valorizzandone le radici culturali, storiche e religiose.
Tizzani ci tiene a sottolineare la sua partecipazione civile alla vita della città: “Come vescovo non mi era dato soccorrere a tutti questi bisogni, ma come cittadino e patrizio di Terni, mi era lecito non pur (solo) di fare quanto mi conveniva ma di più coadiuvare i rappresentanti del popolo onde promovessero il benessere della città.” In queste parole il vescovo affianca, al ruolo tradizionale di pastore, quello di cittadino e di patrizio. E, come cittadino, esercita la propria responsabilità pubblica, promovendo lo sviluppo sociale, economico e culturale della comunità. Questo può avergli provocato le opposizioni di coloro che mal vedevano il suo progetto di promozione della città, ma senza dubbio lui volle esercitare anche la virtù civica per offrire il suo contributo specifico alla crescita della città. Si conquistò la stima di molti suoi concittadini. Tizzani ne fa un cenno quando, tornando a Terni per la prima volta dopo 34 anni, fu accolto dalla gioia dei suoi collaboratori di un tempo, particolarmente di quelli della scuola.
E’ significativa altresì l’adesione di Tizzani al clima riformatore che segnò l’inizio del pontificato di Pio IX. Egli espresse la propria sintonia con questi primi passi del pontificato piano nell’omelia pronunciata nella cattedrale di Terni il 4 ottobre 1846. Parlò con entusiasmo dell’amnistia concessa ai prigionieri per reati politici. In questo gesto del Papa egli vedeva gli albori di un nuovo corso nel rapporto tra la Chiesa e la società. Tizzani paragona questo gesto di Pio IX al miracolo di Gesù che guarisce il paralitico. Il Papa liberava dalla prigionia tanti uomini e li restituiva alla vita e all’affetto dei propri cari. Per Terni – ma non solo – fu un evento particolarmente significativo. Si narra che in questa occasione – era metà agosto del 1846 – circa tremila ternani si recarono a Narni per festeggiare l’amnistia.
La rinuncia alla diocesi di Terni
Fin dall’ascesa al soglio pontificio di Pio IX, che Tizzani conosceva da giovane, presentò la richiesta che fosse sollevato dal governo della diocesi di Terni. La motivazione addotta era quella della debole salute, specialmente i disturbi alla vista che si facevano sempre più gravosi. Il pontefice dapprima non accettò le dimissioni, poi le accolse a malincuore nel 1848, quando ormai Tizzani aveva già fatto ritorno a Roma fin dal giugno 1847, dietro sollecitazione dell’amico Belli che andò a prenderlo personalmente a Terni per ricondurlo nella capitale. Che la motivazione della salute malferma fosse solamente un pretesto appare evidente dal fatto che una volta tornato a Roma Tizzani non diradò, anzi aumentò i suoi impegni sia nel campo degli studi che dei nuovi incarichi che gli furono affidati, né, tanto meno, smise di viaggiare anche fuori dell’Italia negli altri 45 anni di vita.
In verità, assieme al desiderio di tornare agli studi, i motivi che spinsero Tizzani a lasciare la diocesi risiedevano soprattutto nello scontro con alcune personalità del governo cittadino e nelle difficoltà con una parte del clero . Se ne trovano vari riferimenti nei documenti: accuse rivolte al presule, per lo più architettate da coloro che non avevano gradito la sua azione riformatrice o erano stati da questa in qualche modo danneggiati negli interessi economici. Ad esempio, Sante Manghi fu citato in tribunale dal vescovo perché si era appropriato indebitamente di alcune proprietà della Diocesi. La vicenda ebbe strascichi sgradevoli, con accuse al presule di malversazione e raccolte di firme fra la popolazione, carpite con l’inganno. Altro motivo di scontro fu la penosa situazione dell’Ospedale, descritta nella relazione della visita ad limina, in cui si lamenta la fiera opposizione dei Confratri di S. Maria della Piazza a qualunque intervento da parte del vescovo. Nella corrispondenza con il Belli emerge una sorta di vera e propria campagna diffamatoria condotta contro il Tizzani. Uno dei motivi che suscitarono reazioni violente da parte dei nemici di Tizzani fu il noto episodio del 5 gennaio del 1847, quando il vescovo intervenne direttamente per calmare alcune centinaia di persone, tra cui molti operai della ferriera, che protestavano per il rincaro dei grani e la cattiva amministrazione comunale. Il già citato rapporto segreto inviato a Roma (elogiativo del vescovo), conferma le accuse che Tizzani aveva rivolto al malgoverno cittadino. La magistratura ternana, da parte sua, non mancò di far pervenire al governo centrale accuse altrettanto violente contro il vescovo, accusandolo di essere un sovversivo: “Si dà per indubitato che presso Mons.Vescovo s’abbiano segrete congreghe di persone abiette e non agiate, o di poco, caldissime tutte delle riprovate tendenze politiche: di più che il Vescovo stesso usi famigliarmente e senza mistero con tali che sono in effetto eccitatori immediati della moltitudine, disseminatori di voci allarmanti e di studiosi pretesti per insorgere contro i patrizi” . In verità, quei magistrati cercavano ogni pretesto per accusare il Vescovo di fronte al governo centrale di Roma. L’anonimo estensore del rapporto citato, difendendo Tizzani da queste calunnie, conclude che “si volse malignamente in delitto l’atto più virtuoso del Vescovo” . Anche il Belli riferisce in diverse occasioni di lamentele contro il vescovo fatte pervenire a Roma. Il poeta romano fu tra i pochi che gli restarono sempre vicini. Scrive lo stesso Tizzani: “Vedemi l’amico immerso nelle amarezze. Temendo egli forte deperisse la mia salute, dolcemente mi andava insinuando un giorno essere per me necessario respirare l’aria nativa per rinfrancare le mie estenuate forze. A rendere le sue insinuazioni efficaci dicevami di volermi lui stesso accompagnare a Roma”. Un ulteriore accusa portata a Roma contro il vescovo da parte del Gonfaloniere di Terni convinse il Belli a prendere l’iniziativa per portare a Roma il suo amico. Se ne fa riferimento in una lettera indirizzata al Belli da un amico ternano del vescovo che si augura, senza molte speranze di successo, un possibile ritorno in città di Tizzani. In verità, Tizzani non tornò. E nel gennaio del 1848 fu nominato vescovo di Terni mons. Nicola Abrate.
Conclusione
Volendo concludere queste brevi note su Tizzani a Terni, potremmo dire che non si è trattato solo di una parentesi nella sua vita. E’ vero che, dopo meno di quattro anni, è tornò ad essere lo studioso e l’ecclesiastico polivalente che era stato. E, tuttavia, l’intenso lavoro pastorale che fece incise non poco sulla sua personalità. Egli prese con grande serietà e responsabilità il compito affidatogli dando nuovo vigore alla pastorale nella Diocesi e nuova linfa alla stessa città di Terni. L’impegno pastorale, culturale e civile, assieme anche alle aspre difficoltà incontrate, fecero maturare in lui un senso nuovo nel rapporto umano, ecclesiale e civile. A Roma tornava un Tizzani più attento ai risvolti umani della vita, più pronto a difendere la pluralità delle concezioni sia religiose che culturali, più pronto a far pesare il senso della storia all’interno della Chiesa. Questo emergerà più chiaramente dall’esame delle fonti. Mi pare di poter affermare che dopo Terni si possa parlare di un secondo Tizzoni: una personalità che a Roma rappresenta una sensibilità meno intransigente e meno chiusa alle correnti di pensiero. E, anche solo restando all’interno del periodo ternano, possiamo considerarlo tra quei vescovi che nell’Ottocento cercarono senza sosta, e attraverso molteplici iniziative, di riannodare la Chiesa alla città, mentre ambedue si affacciavano alla modernità. La vastità della cultura e degli interessi di Tizzani forzarono gli orizzonti sia del clero della diocesi che degli abitanti di Terni. Spero che questo convegno, mentre delinea i tratti chiari e vigorosi dell’opera pastorale di Tizzani nella città di Terni, aiuti anche a comprendere una delle figure tra le più significative, anche se poco studiate, della Chiesa italiana dell’Ottocento.