Fratelli e sorelle,
Celebriamo un evento e partecipiamo alla festa del popolo di Dio, della Chiesa che si mostra e si rivela madre feconda, genitrice-generatrice della Grazia, dei figli di Dio, della comunità, del popolo nella comunione, nella concordia, nella Pace, nell’arricchimento dell’umanità e del mondo intero.
La nostra comunità oggi è in festa per il conferimento del sacramento dell’Ordine, a due dei suoi figli, del Presbiterato a Fra Antonio Gentili della famiglia francescana dei Frati Minori Cappuccini, e del Diaconato a Massimiliano Collodi della Famiglia religiosa dei Ricostruttori nella Preghiera. In questa grandiosa sala-parto assistiamo alla nascita di due leviti, che a loro volta saranno artefici, con la potenza della Parola e l’invocazione dello Spirito Santo, della nascita di nuovi figli, del loro inserimento nella chiesa, dell’allargamento del popolo di Dio a uomini e donne di ogni lingua, popolo e nazione.
Si rinnova un mistero che riguarda, caro fra Antonio e caro Massimiliano, ciascuno di voi personalmente e che coinvolge tutti noi, quali membri della Chiesa co-protagonisti e testimoni estasiati delle opere meravigliose che il Signore ha compiuto e intende compiere nelle vostre persone e col vostro concorso, non per un tempo limitato, ma per tutti gli anni della vostra vita perchè “sacerdoti si è per sempre”.
La Parola di Dio di questa XV domenica del tempo ordinario ci è di guida, scorre quasi in filigrana per aiutarci a leggere la vostra storia passata con gli occhi di Dio e diventa programma del vostro futuro di discepoli di Gesù, da lui inviati come suoi ministri e rappresentanti per convocare e curare gli uomini nel popolo santo di Dio.
E tutti noi, ancora col cuore in pena per la perdita di don Marcello D’Artista, sacerdote della nostra Chiesa, vi diciamo grazie perché ci riempite di speranza e ci aiutate a mettere a fuoco anche la nostra vocazione e missione nell’ottica originaria del S. Vangelo.
L’esperienza del profeta Amos, proclamata nella prima lettura, anticipa ed esemplifica ciò che accade a tutti coloro che sono chiamati dal Signore ad essere profeti e suoi inviati.
Come per il profeta Amos, anche la vostra vita ha avuto un momento di svolta, un attimo che solo voi conoscete nel quale il Signore “vi ha presi”.
“Amos rispose ad Amasìa e disse: «Non ero profeta né figlio di profeta;
ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro.
Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge”.
Il Signore vi ha presi. Bella questa parola e azione! Esprime la verità di ciò che è accaduto a voi: presi, afferrati dal Signore mentre eravate intenti a mansioni umane, professionali, forse distanti dal Signore. Presi… stretti mentre tentavate di divincolarvi nel gesto dell’attrazione e dell’allontanamento, nella dinamica della sistole e diastole del cuore, abbracciati in una morsa di amore unico e indicibile, ma anche dubbioso e diffidente.
Infine, chiamati per nome da una voce decisa, ma dolce e suadente, non avete saputo resistere e finalmente vi siete posti docilmente alla sequela di Gesù, intessendo la vostra storia di amore, di entusiasmo, consegnandovi al Signore, come gli apostoli, come San Francesco, come i nostri santi e proclamando: “sei tu Signore, l’unico mio bene”.
E oggi il Signore vi dice: “Va’, profetizza al mio popolo”.
Siete costituiti ed istituiti profeti dell’Altissimo, abilitati a parlare in suo nome, a trasmettere con messaggi di richiamo e di amore, quanto vi ha confidato nel cuore e non tanto o non solo con i tanti mezzi oggi in voga (social, bacheche, twitter, gruppi, ecc.), ma con la vostra vita di preghiera, di testimonianza dell’unico e vero Dio, di amore e di carità verso i fratelli.
IL Vangelo ci racconta che Gesù anche oggi continua ad inviare i suoi discepoli; invia voi, come ha fatto a suo tempo e vi ricorda ed esplicita le modalità della missione e come profetizzare al Popolo.
Li chiama a sé. La missione del Vangelo può essere attuata solo da chi è chiamato, da chi ha conformato ad esso la sua vita, la sua proposta di uomo. Solo allora il discepolo può annunciare il Vangelo.
Solo chi è stato veramente con Cristo, ha potuto vederlo, toccarlo … può annunciarlo. Non basta ripetere ciò che si è letto di Lui… E’ necessario averlo realmente incontrato nel suo vangelo, nella preghiera-contemplazione e nella esperienza concreta della comunità cristiana, di cui la fraternità francescana e dei Ricostruttori è mediazione quotidiana, è premessa e scuola di iniziazione alla missione evangelica.
Tutti i discepoli sono mandati da Gesù due a due.
Ciò innanzitutto perché la testimonianza di due è veritiera (Dt). Nella comunità apostolica gli apostoli si muovono due a due: Pietro e Giovanni, la comunità sceglie Paolo e Barnaba, poi Paolo e Sila, poi Paolo e Timoteo.
La ragione è che il discepolo appartiene ad una comunità, è questa che si muove e annuncia. L’evangelizzazione è atto ecclesiale.
Comunità di fratelli, che non si sono scelti, ma che sono donati dal Signore, con i loro limiti, qualità e diversità… per cui… non c’è più giudeo né greco… poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3,28).
Certo si fa fatica a vivere in una comunità, accogliere e amare tutti senza distinzioni e condizioni.
Ma il cristiano non vive nella solitudine, egli è componente di una comunità di fratelli.
Sia fra Antonio che Massimiliano vivono in una fraternità: nella fraternità francescana e nella fraternità dei Ricostruttori nella preghiera. In esse imparano lo stile fraterno e di comunione proprio dei fratelli e de discepoli di Gesù. San Paolo, nella seconda lettura ci ricorda la prospettiva di santità, di amore, di carità di chi in Gesù è stato costituito figlio adottivo e fratello. E entrambi, quali cristiani e servitori dei fratelli, nelle vostre fraternità apprendete ed esercitate lo stile della comunione che deve regnare nella chiesa.
Anzi, entrambi siete ricostruttori della Chiesa: fra Antonio, chiamato da Cristo a riparare la Chiesa a imitazione del Poverello d’Assisi, e Massimiliano quale membro di una comunità che ha il carisma di ricostruire materialmente e spiritualmente la Chiesa di Cristo con la vita plasmata dalla preghiera del cuore.
Il potere dato da Gesù ai discepoli, a voi, è la forza che viene da Lui per combattere e vincere il male, i demoni, le divisioni e le lotte. E’ la forza del servizio che cura le ferite causate dal male, allarga i confini del bene, umanizzando e divinizzando gli uomini affranti e soggiogati dal peccato e dal male.
Gesù dà degli ordini su come gli apostoli devono presentarsi:
“E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche”.
Non prendete altro che un bastone per la via (odos). E’ il simbolo della forza che Dio comunica a Mosè, simbolo della Parola di Dio che accompagna l’inviato, con la quale il discepolo può operare il cambiamento dell’uomo.
Gesù indica anche cosa i discepoli non devono prendere con sé. Egli parla per paradosso, ma le sue parole non vanno sminuite.
Lo stile di vita del missionario è quello che ha avuto Gesù: uno stile povero, semplice, di distacco dai beni di questo mondo, relativizzando le creature al destino ultimo della vita dell’uomo che è il Regno di Dio. La tentazione di oggi anche per i sacerdoti purtroppo, sono la ricchezza, i beni, l’ambizione, il confidare nei mezzi umani.
Alcune espressioni di Papa Francesco illustrano con chiarezza tale prospettiva del Presbitero:
(Discorso alla 69^ assemblea CEI, 16 maggio 2016)
“Come Mosè il presbitero è uno che si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriere e potere e il roveto ardente ne marchia a fuoco l’esistenza e la conforma a quella di Gesù Cristo in tutto”.
Sappiate giocarvi fino in fondo per amore di Gesù. Non siate come coloro che “nella vita stanno sempre un po’ a metà, con il piede alzato. Calcolano, soppesano, non rischiano nulla per paura di perderci… Sono i più infelici! Il nostro presbitero, invece, con i suoi limiti, è uno che si gioca fino in fondo, si offre con gratuità, con umiltà a gioia”. Purtroppo vi sono presbiteri incartapecoriti, anche giovani presbiteri, che si lasciano vincere dal calcolo, dalla pigrizia, dalle comodità e dall’autoreferenzialità.
La professione religiosa vi ha inserito in una fraternità, nella quale da oggi vi ritroverete oltre che come fratelli anche come presbitero e diacono. Il rischio di rattrappire il ministero (sacerdotale e diaconale) tra le mura del convento o di viverlo nei fatti come un titulus honoris e non con zelo-passione pastorale, è purtroppo reale. Per te fra Antonio, in seguito anche per Massimiliano, da oggi, in maniera più esplicita si allarga la relazione di appartenenza: fai parte della fraternità dei frati minori e di quella del presbiterio. Come frate e come membro del presbiterio sei, vivi e operi nel cuore del popolo santo di Dio con il dono della parola, dei sacramenti e della testimonianza della carità. Dovrai trovare il giusto equilibrio e la generosa adesione alla fraternità e al presbiterio, nel quale sarai inserito dall’obbedienza. E la tua presenza nel presbiterio e nella chiesa locale dovrà caratterizzarsi dinamicamente con tutti i ricchi doni del carisma: francescano-sacerdote-missionario al servizio del Vangelo, come decisamente auspicato dal Padre San Francesco, quali “sudditi e soggetti alla S. Madre Chiesa”.
E infine che dire della santità dei ministri, dei sacerdoti?
San Francesco d’Assisi nutriva una grandissima considerazione per i sacerdoti, che voleva santi perché a contatto diretto, fisico con Gesù.
“Badate alla vostra dignità, fratelli sacerdoti, e siate santi perché egli è santo. E come il Signore Iddio vi ha onorato sopra tutti gli uomini, con l’affidarvi questo ministero, così voi amatelo, riveritelo e onoratelo più di ogni altro uomo.
Grande miseria e miserabile meschinità sarebbe se, avendo lui cosi presente, vi curaste di qualunque altra cosa che esista in tutto il mondo”. (FF 220)
E in un altro testo il Padre San Francesco invita i sacerdoti ad essere santi, giusti, degni, quasi ad anticipare quanto auspica il vescovo nel consegnare il pane e il vino all’ordinato: “Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore”.
Cari fratelli e sorelle,
Oggi ci ha condotti in questa nostra chiesa-madre l’amicizia per questi fratelli, ma anche la consapevolezza di essere chiesa, per celebrare un sacramento della chiesa.
Siamo qui per testimoniare la nostra fiducia in Gesù buon Pastore, che anche oggi si prende cura della sua Chiesa e di noi, donandoci nuovi ministri.
Ma siamo qui anche per essere i “testimoni di nozze” di questi fratelli. Vogliamo dare voce al consenso del popolo di Dio per l’Ordinazione di fra Antonio e Massimiliano. Siamo qui per dire a loro che noi da oggi, ci saremo sempre nella loro vita: con la preghiera, l’amicizia, l’incoraggiamento, la misericordia, la collaborazione al loro ministero.
Si, fra Antonio e Massimiliano, non siete soli: Gesù è con voi, la nostra chiesa è con voi. Maria santissima, madre dei sacerdoti, che vi genera come ministri e suoi figli prediletti, vi accompagna nel ministero.
Non temete, “la gioia del Signore è la vostra forza”. (Neemia 9,10).