Solennità di San Giovenale 2020

Cari fratelli e sorelle che siete qui presenti e voi che ci seguite da casa,
è una celebrazione singolare questa celebriamo in onore di San Giovenale. Una celebrazione contratta a causa dell’epidemia del coronavirus e delle rigide norme delle autorità, che non prevedono celebrazioni con la presenza del Popolo di Dio. Una celebrazione particolare per l’assenza fisica del popolo di Dio, cosa che genera sofferenza e mortificazione per tanto isolamento e solitudine, ma anche per il tono dimesso senza la rappresentanza della città, dei terzieri, le bandiere, il tripudio. Un anno fa questa cattedrale era ricolma di gente, fedeli e autorità, che volevano pregare e rendere Onore al Signore e al suo servo san Giovane, il pastore, posto da Gesù alla guida di questa chiesa.
Io credo che nonostante queste limitazioni e questa sofferenza interiore, dobbiamo ugualmente sentire la vicinanza del Signore e di San Giovenale, soprattutto cogliere il messaggio che può darci a noi questa celebrazione, IV di Pasqua, del Buon pastore e Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, la festa di questa città.
Innanzitutto vogliamo tenere presente che siamo qui per celebrare l’Eucarestia e rinnovare la Pasqua del Signore esprimere vicinanza a tutti i nostri fratelli, invocando Misericordia del Signore sul suo popolo e la sua benedizione, in questo tempo di sofferenza, di contagio, di preoccupazione per il futuro incerto e di bisogno materiale.
Nel tempo di Pasqua ai cristiani riservano un posto particolare alla lettura e alla meditazione sulle esperienza degli Apostoli, alla loro testimonianza del risorto. Certamente san Giovenale e la sua comunità lo hanno fatto in maniera evidente ed esplicita.
La parola di Dio di questa domenica pone al centro Gesù, buon Pastore, porta del gregge, cibo e nutrimento del gregge. Si parla di buon pastore, porta, di recinto, di lacrime di canti, di mercenari, si parla di pascoli. Un linguaggio che, forse, a noi è un po’ estraneo, perché non siamo abituati a leggere e meditare la parola di Dio, ma che per gli apostoli, per coloro che hanno ascoltato Gesù era un linguaggio molto vivo e comprensibile, subito accendeva sentimenti e una gioia grande.
Il buon pastore, abbiamo letto nel Vangelo, conosce le pecore e le chiama per nome. A noi può sembrare strana questa espressione, eppure, secondo la tradizione di quel tempo, a cui Gesù fa riferimento, a sera i pastori erano soliti condurre il loro gregge in un recinto per la notte. Un solo recinto serviva per greggi diverse. Al mattino, ciascun pastore gridava il suo richiamo e le sue pecore, riconoscendone la voce, lo seguivano. Se riesci a chiamare a conoscere le pecore ad una ad una e chiamarle perchè lo seguono. Gesù intende mettere in guardia i suoi dai falsi pastori, ladri e briganti, mercenari che pensano solo ai propri interessi. E Gesù, come abbiamo detto poc’anzi, non ha soltanto chiamato i discepoli per nome, in un lontano passato. Ma anche oggi pronuncia i nostri nomi, quello di ciascuno di noi, quello che ci appartiene fin dalla nascita e che ci identifica nella nostra identità. Ci conosce personalmente, e oggi Gesù ce lo ricorda, conosce i nostri sentimenti, conosce i pericoli che ci minacciano, conosce le nostre doti. Desidera e propone a ciascuno di noi una relazione personale a tu per tu. E c’è un’altra espressione che oggi in modo particolare suona. Gesù conduce i suoi discepoli, precedendole e guidandoli ai pascoli del mondo, quelli più nutrienti. Ed è venuto per dare la sua vita per il gregge e per dare la vita al gregge.

San Giovenale è stato pastore di questa chiesa, secondo il cuore e lo stile di Gesù in questo territorio, una testimonianza fino al martirio. Qualcuno dice che non è morto martire, ma tutta la sua vita è stata una testimonianza di martirio per la cura, per il bene, il sostentamento e la salvezza del suo gregge dei cristiani di questa comunità di allora che gli erano stati affidati.
Anche noi che siamo pastori siamo chiamati a dare la vita per il popolo e al popolo. E quando dico noi non intendo soltanto il Papa, i vescovi, i presbiteri i diaconi, ma anche le autorità. Papa Francesco proprio questa mattina nell’omelia di Santa Marta, ha voluto chiamare pastori tutte quelle persone, medici e infermieri, che hanno dato la vita per salvare tanti malati in questi mesi. Anche loro sono i veri pastori che si sono presi cura del gregge. Sono, come ha detto in altre circostanze i santi della porta accanto, non abbiamo bisogno di attendere per vedere la santità che è presente in mezzo a noi, perché chi dona la vita, chi dà la vita imita Gesù ed è partecipe della sua santità.

Mentre celebriamo, anche se n maniera dimessa, la festa del nostro patrono, interroghiamoci sulla nostra testimonianza di oggi: in questa città, nelle nostre parrocchie, nella nostra Diocesi.
In questo tempo di epidemia siamo spinti a vivere con intensità le limitazioni, le sofferenze e i disagi, che con rapidità improvvisa ci sono capitati addosso. La quarantena, con la privazione della libertà, l’isolamento e la solitudine d tante persone soprattutto anziani, la sofferenza fisica e morale di tanti malati e anziani e anche la nostra sofferenza, la morte di tante persone e la mortificazione per non aver potuto dare onore e suffragio ai defunti e conforto e consolazione ai familiari, i problemi ancora presenti legati alle varie forme di povertà, alla disoccupazione e alle fosche attese di disagi e di precarietà, e, mi piace ricordare, la proibizione di radunarsi della comunità e di celebrare l’Eucarestia domenicale.
Cari fratelli e sorelle, ciò che ha fortificato e sostenuto la comunità apostolica e ha dato forza ai martiri è stata l’Eucarestia; non pensiamo tante altre cose, certo l’ascolto della parola di Dio, ma è soprattutto insieme all’ascolto della parola di Dio è la celebrazione dei sacramenti, la celebrazione dell’Eucarestia, Gesù spezzato in comunione e condiviso con amore. Questo è il pascolo a cui Gesù conduce i suoi discepoli, il suo gregge.
In questi giorni si sta parlando dei disagi che sono davanti a noi a causa di questa epidemia. Ma noi dobbiamo pensare ai disagi di tanti cristiani e alla lor sopravvivenza spirituale: i cristiani senza sacramenti non sono in grado di sopravvivere alla vita dello Spirito. Non è possibile una vita cristiana on line attraverso le rappresentazioni che ci danno i mezzi di comunicazione sociale, che pure in questi mesi hanno svolto un servizio importante, ma è soltanto un momento di emergenza, che presto deve trovare fine e noi dobbiamo avere la possibilità di nutrirci del corpo del Signore, di partecipare all’eucaristia e di prolungare questa vicinanza con il Signore attraverso l’esercizio della Carità, come sta venendo in questi giorni da parte di molti cristiani.

Vogliamo allora richiamare i tanti segni di speranza che sono davanti a noi: la generosità di tanti operatori, volontari, medici, infermieri, sacerdoti che, in questo periodo si sono fatti in quattro per gli altri; l’impegno delle autorità a guidare la ripresa umana, civile, sociale, sì con prudenza ma è necessario più di coraggio e accortezza. Tutti hanno imitato il buon pastore che rischia la vita per i fratelli e dona loro la vita.
In questo tempo, stiamo vivendo il desiderio di ricevere il Signore in attesa di poter partecipare. Intanto lasciamoci alimentare dalla parola di Dio, dalla preghiera in famiglia e anche la preghiera per personale e soprattutto anche la Carità vissuta nei piccoli gesti quotidiani, ma anche in un servizio di solidarietà per chi non può nei confronti di chi si ritrova solo e in difficoltà .
E allora preghiamo perché il Signore, per intercessione di san Giovenale e di tutti i nostri santi ci liberi dal contagio e da ogni male, ci aiuti a rispondere alla grazia dello Spirito e a crescere nella fede.