Nell’ambito delle manifestazioni per la Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani, lunedì 20 gennaio al Museo Diocesano di Terni si è tenuta la tavola rotonda: “La teologia dell’ospitalità” con gli interventi del pastore Pawel Gawjeski, don Vincenzo Greco, Padre Vasile Andreica prete ortodosso romeno.
Di seguito l’intervento introduttivo di don Vincenzo Greco, direttore dell’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso.
“Verso una teologia dell’ospitalità. Ci siamo così ispirati per il titolo di questo nostro incontro, al tema della settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani di quest’anno “Ci trattarono con gentilezza”. tratto dagli Atti degli Apostoli al capitolo 28, 2, dove si parla del naufragio in mare dell’apostolo Paolo che insieme ad altri 276 passeggeri e l’equipaggio, veniva condotto prigioniero a Roma.. e della fortunosa e umana accoglienza, avuta dai naufraghi nell’isola di Malta.
Ma abbiamo soprattutto voluto mettere a tema la teologia dell’ospitalità, perché negli ultimi anni in ambiente ecumenico, con particolare riferimento ad un progetto di ricerca teologica dell’ISE S. Bernardino di Venezia, finanziato dai fondi dell’otto per mille delle chiese metodiste e valdesi italiane.
Questa ricerca a più voci, non solo in ambito ecumenico ma anche interreligioso ha individuato proprio nella cifra dell’ospitalità la categoria teologica che può aiutare le teologie del dialogo , se così possiamo dire, ad uscire dall’attuale crisi di stagnazione.
Sembra infatti che le teologie del dialogo siano esse inclusive o pluraliste a seconda se seguono il paradigma del inclusivismo o del pluralismo, si trovino davanti ad una criticità nella lettura della realtà, perché si leggono in maniera sbilanciata da una parte l’identità, dall’altra l’alterità spesso l’ una si promuove a scapito dell’altra o viceversa. Quindi se si vuole dare una prospettiva alla teologia del dialogo, per il futuro bisogna ripensare in modo corretto il rapporto fra identità e alterità e qui che si propone la categoria dell’ospitalità per far ripartire la teologia del dialogo.
Il nostro contributo di questa sera vuole limitarsi ad offrire uno stimolo, un invito alla riflessione. Innanzitutto mi fa piacere che questa sera ci siate voi, interessati alla teologia.. perché c’è una sorta di analfabetismo in tema ecumenico ed interreligioso nelle facoltà di teologia e nei Seminari, per l’assenza quasi generale di corsi di dialogo ecumenico e interreligioso.
Un credere ospitale è il futuro del dialogo interreligioso, come affermano i vari teologi e autori del libro dal titolo Teologia dell’ospitalità, pubblicato nella collana Biblioteca di teologia contemporanea, dalla ed. Queriniana, 2019, che raccoglie i vari saggi del progetto a cui accennavo prima dell’Istituto San Bernardino di Venezia.
In senso antropologico ed esistenziale, l’ospitalità è un’esperienza che tutti facciamo col nascere perché, la vita è esposta alla relazione di affidamento, come quella del bambino che nasce e che ha come risposta l’accoglienza dell’uomo e della donna, che lo accolgono perché lo hanno generato. Quindi possiamo dire che la relazione che permette la vita è quella originaria dell’ospitalità : l’essere umano è affidato alle cure responsabili di un altro essere umano. Così sentirsi accolti e amati, è anche la prima esperienza che facciamo di Dio.
Da questa relazione ospitale incentrata sul prendersi cura dipenderà anche la vita e il futuro. Non essere voluti o non essere accolti è il primo grande trauma che un essere umano può vivere.
Dunque da questa consapevolezza : la necessità e l’importanza dell’ospitalità, che nasce dalla comprensione del nostro essere eternamente, fin dall’inizio in relazione, che rende possibile, serena, felice la vita… così l’accoglienza dell’altro, l’ospitalità verso l’altro, scaturiscono dall’accettazione consapevole della nostra originaria relazione con l’altro, con il diverso.
Con la caduta 30 anni fa, del muro di Berlino pensavamo che l’epoca dei muri fosse definitivamente finita, ma quel crollo del muro non ha avuto alcun effetto domino, anzi da allora nuovi muri sono sorti, dapprima come barriere fisiche e poi progressivamente anche come concretizzazione di recinti interiori e mentali.
Così il muro, il recinto lo steccato è diventato il simbolo della separazione tra un dentro e un fuori, tra noi e gli altri , una situazione determinata dalla paura crescente dalla diffidenza verso l’altro. E dunque nelle nostra società italiana, come nelle regioni mediterranee, dove l’ospitalità era sacra; l’ospitalità è divenuta invece estranea alla prassi quotidiana, domestica e cresce sempre più l’individualismo.
Il termine ospite viene propriamente dal latino ospite, ma hospes ha una strana parentela anche con il termine hostis- lo straniero, ma anche il nemico, quindi come diceva il teologo francese Jean Danielou “la civiltà farà un passo decisivo il giorno in cui lo straniero da nemico ( hostis ) diventerà ospite ( hospes), il giorno in cui nello straniero , si riconoscerà un ospite allora qualcosa sarà cambiato nel mondo”.
Qui vengo al centro della mia riflessione: “Non dimenticate l’ospitalità alcuni praticandola hanno accolto degli angeli senza saperlo ” Eb. 13,2. In questo passaggio della lettera agli Ebrei, troviamo se vogliamo, la chiave per una lettura spirituale della pratica dell’accoglienza evangelica, proprio perché è nella Sacra Scrittura che noi troviamo le radici, e il senso di questa pratica biblica e cristologica, anche perché la vita di Gesù è stata una vita di ospitalità e di accoglienza.
Quando il popolo di Israele si è ormai insediato nel paese che il Signore suo Dio gli ha dato in eredità, la Terra promessa, è invitato dall’autore sacro, il deuteronomista a rileggere la propria storia, a partire dal un dato fondamentale e cioè dalla condizione di straniero: “mio padre era un arameo errante, scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa “ (Deuteronomio 26,15) . Qui è interessante : ma che cosa fece sì che dopo il breve soggiorno in Egitto di Abramo i figli di Giacobbe si decidessero a recarsi nel paese poi del faraone, senza nemmeno lontanamente sospettare che loro fratello Giuseppe ne fosse diventato addirittura il sovraintendente? Ciò che li spinse ad andare era la fame, la carestia ,l’assenza di pane, nella loro terra. Esattamente ciò che avviene per tanti nostri fratelli e sorelle che scappano da guerre e carestie, siccità .Quindi questi fattori che troviamo nella Bibbia, sono una spinta ancora oggi, una forza incontenibile, che spinge a partire a lasciare il proprio paese, la propria terra la propria famiglia per sognare un futuro migliore. Una forza e una spinta, che non calcola il rischio, la minaccia ,che niente può fermare. Il dato biblico è da leggere nel senso che, la consapevolezza che i propri padri fossero stati forestieri, se vogliamo mendicanti di pane, diventa per il popolo d’Israele come un fondamento addirittura più forte della memoria della schiavitù in Egitto! Ecco perché nella Bibbia ritorna il monito “non opprimerai il forestiero anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Esodo 23,9).
E ancora: “il forestiero vivente fra voi, diventerà dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi, tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio” (Levitico 19 ,34). Attenzione che da questa consapevolezza nascerà l’adozione di un’unica legge , e diritti uguali per tutti, e questo è un dato che troviamo nella Bibbia.
Un po’ per attualizzare questa storia d’Israele con quella dell’Italia del diciannovesimo e ventesimo secolo, ci rendiamo conto che anche noi siamo stati forestieri, che anche noi siamo “forestieri come i nostri padri” e quindi non possiamo esimerci dal cercare di avere un’unica legge per noi e per lo straniero che dimora presso di noi.. quanti emigranti italiani dalle nostre regioni si sono trovati in queste condizioni…in Germania e nelle Americhe.
Spesso diciamo che nelle nostre realtà regionali del meridione , nelle piccole realtà di un tempo l’ospitalità era sacra. E ora non più! Perché l’ospitalità è sacra?
Alcuni anni fa andavano di moda i cristiani della soglia.. cioè erano quei laici in ricerca, intellettuali dialoganti, che però rimanevano sulla soglia non si definivano credenti.
Ecco questa immagine della soglia, mi aiuta a parlare della sacralità della soglia e dell’ospitalità. Noi viviamo in comode case, con tutti i confort ,con antifurti, porte blindate caldaie che parlano, robot che spicciano casa e gestiamo tutto da un’app. Che cosa significa per noi oggi aprirci all’ospitalità? Si perché l’ospitalità evangelica non è solo quella della Caritas, della S. Martino o della Comunità di S. Egidio. Questi tempi interrogano tutti i cristiani sulla loro capacità di Ospitalità e accoglienza. Quella della soglia è l’unica forma di spiritualità dell’accoglienza, che possiamo veramente praticare oggi.
La soglia è per definizione quel luogo che non è ancora dentro le mura di casa, ma non è nemmeno fuori della casa,. La soglia è più di un semplice confine è quella precisa interfaccia dalla quale si può accedere a un territorio nuovo, sia da parte di chi esce che da parte di chi entra.
Riconoscere nell’ospite non un nemico, ma un fratello a cui fare spazio con il quale condividere un pezzo della nostra vita, della nostra casa, della nostra giornata forse anche solo un bicchiere d’acqua fresca.
In linea di principio “ quasi tutti qui siamo d’accordo con l’accoglienza degli immigrati, ma attenzione al creare dei ghetti, perche pensiamo che certe persone meglio accoglierle e ospitarle in spazi neutri….lontano e possibilmente un pò nascosti…
Ma gli ambiti e gli spazi in cui l’ospitalità è considerata sacra, sono anche quelli dov’è accogliere o respingere qualcuno significa praticamente condannarlo a morte o salvarlo, questi spazi sono il mare, il Mediterraneo, il deserto, la montagna estrema.
Allora l’imperativo morale che attraversa la nostra società in questo particolare momento della storia con i flussi delle migrazioni, rende necessaria che la famosa “legge del mare” iscritta nel profondo delle coscienze, prima ancora che nei codici, sia estesa anche in altri ambiti, forse della terraferma, dei nostri spazi vitali e sociali. Chi è in pericolo di vita, va salvato a prescindere dalla sua identità, provenienza eccetera.
Tornando all’insegnamento biblico, ciascuno di noi viene al mondo come pellegrino come forestiero, da straniero da estraneo, e né diviene parte solo grazie all’accoglienza, all’ospitalità che riceve da chi lo ha generato o da chi sceglie di amarlo.
Gesù ha lasciato questo comando ai suoi discepoli “ tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi anche voi fatelo a loro questa infatti è la legge e i profeti “ (Matteo 7,12) E’ la famosa regola d’oro che troviamo anche in altre religioni non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso( anche qui come nella legge del mare si parte da una regola d’oro presente da sempre nella coscienza e nella Sapienza dei popoli, regola preziosa certo, capace di smorzare conflitti, di non agitare le acque, di creare un clima di convivenza, di tranquillità). Ma Gesù chiede di andare oltre di non accontentarsi di una reciprocità del non fare, che si traduce con il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso” ama il prossimo tuo come tu stesso vorresti essere amato.
Questa solidarietà umana, questa fraternità Cristiana che abbatte i muri, spalanca le porte,e dischiude nuovi orizzonti, ci consente di vedere l’ospite per quello che è in verità: un’occasione di vissuto evangelico. Quando il forestiero varca la soglia della nostra casa, delle nostre chiese, soprattutto se povero, sofferente, emarginato o straniero, le nostre paure le nostre preoccupazioni vengono ridimensionate e grazie all’incontro e al dialogo, i drammi le angosce, le speranze, le gioie del mondo ci divengono familiari.
C’è una relazione mutua tra ospitalità e dialogo. Il dialogo richiede ospitalità. Il dialogo va oltre la mera coesistenza, richiede riconoscimento e rispetto delle differenze. Il vero dialogo comporta l’accoglienza del pluralismo religioso, quella del dialogo è una proposta che supera finalmente la visione tradizionale è maggiormente diffusa secondo la quale la propria religione è l’unica vera religione, le altre tradizioni o religioni non sono altro che espressione limitata del Divino o al massimo un’anticipazione e un segno di preparazione di una verità che in realtà abbiamo solo noi : E’ vero che le religioni oggi come tali sono anche coinvolte in situazioni problematiche e complesse di vita e di limitazioni. Spesso le rappresentazioni dei conflitti mettono in mezzo le religioni, le strumentalizzano a livello politico, alimentando così la paura la diffidenza. Per questo non bisogna semplificare eccessivamente i problemi ma affrontarli lucidamente.
Per concludere l’ospitalità evangelica ha inizio sulla porta di casa, quando ci succede di imbatterci nel volto di uno sconosciuto, di un estraneo o di uno straniero. Lì si pone la delicata questione : dentro o fuori ? Si tratta di una linea di demarcazione di una intrusione, e dal momento che l’ospitalità è intrusiva, essa comporta un aspetto di rottura… ci dobbiamo così esporre, rischiare.
Non c’è un cammino ecumenico e tra le religioni veramente promettente, se non attraverso l’ospitalità e il dialogo Nonostante tutto ciò, bisogna riconoscere le difficoltà, le comprensibili tensioni che caratterizzano la sua realizzazione. L’ospitalità è sempre un tesoro prezioso una zona di avventura di spavento e di inquietudine. ( G.Dotti )
Quanto sarebbe bello, almeno nelle nostre comunità, poter estendere quell’augurio e quell’invito accogliente che facciamo agli amici che ci vengono a trovare, a tutti i pellegrini e gli stranieri : fa come se fossi a casa tua… o come disse Abramo ai suoi misteriosi ospiti non passare ti prego senza fermarti”.
Don Vincenzo Greco