Festa di san Giuseppe e professione solenne di don Roberto Tarquini

Carissimi fratelli e sorelle, la solennità annuale di san Giuseppe colloca tutti noi entro uno spazio di fede tutto particolare, che ha come finalità specifica quella di illuminare ed irrobustire ogni spazio vitale della nostra storia personale, delle nostre vicende.
San Giuseppe infatti, come sappiamo dal Vangelo, è posto nel contesto della storia del Signore Gesù affinché, mediante la sua fede, la propria adesione al progetto di Dio, potesse essere colui che, nella legalità, avrebbe dovuto, e perciò potuto garantire, la venuta al mondo del Figlio di Dio; la sua nascita ed anche la sua crescita umana.
Egli è pertanto, come dicevo, colui che, disponendo anche noi entro uno speciale spazio di fede, illumina tutti affinché anche le nostre azioni e il nostro quotidiano possano essere la risposta fedele al disegno di Dio nella storia.
Egli è innanzitutto definito dal Vangelo Uomo giusto, cioè -diremo noi- retto, non ambiguo, trasparente; ma, secondo il modo di esprimersi della Bibbia, è anche una persona che osserva scrupolosamente la parola di Dio. Però il suo essere fedele alla parola di Dio si pone entro quelle caratteristiche umane positive che, compenetrandosi ed impastandosi insieme, danno –diremmo oggi- una marcia in più. Egli infatti non si limita all’osservanza pura e semplice, meccanica diremmo dei precetti, avrebbe in questo caso non messo a frutto lo spirito stesso di quanto il Signore gli suggeriva di essere; egli ricerca piuttosto il senso profondo e quindi autentico di quanto sta accadendo nella sua famiglia e, con tenacia da una parte ed abbandono al disegno di Dio dall’altra, arriva ad accedere al segreto inedito di quanto Dio intende operare nella storia; certamente attraverso l’assenso di fede della sua sposa Maria, ed in questo caso anche del suo, di Giuseppe, che è stato, come ben sappiamo, non meno prezioso ed impegnativo.
Egli è uomo giusto, ed intende perciò ripudiare la sua promessa sposa, che vede essere incinta non per suo intervento, e pertanto progetta di procedere con una forma inusitata per la legge ebraica (che prevedeva invece, come sappiamo il pubblico ludibrio e la lapidazione) decide piuttosto di ripudiarla in segreto e non esporla così al ludibrio e alla morte certa./ Che bello questo modo di pensare e di progettare di Giuseppe! Egli perciò è di esempio e ci guida a superare tutti quei momenti della nostra vita che potrebbero suscitare una immediata risposta impulsiva, non meditata, e perciò non aperta alle sorprese dello spirito; egli ci illumina ad andare oltre e ricercare lì, in quell’oltre, la presenza di Dio; in altre parole ci sprona affinché possiamo sempre domandarci che cosa il Signore intenda comunicarci attraverso gli avvenimenti della nostra storia; qualsiasi essi siano.
Ed è infatti qui, in questo frangente, che Giuseppe ottiene la illuminazione e la rivelazione più alta che sia mai stata data all’uomo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo».
Non temere di prendere. Anche a noi, a ciascuno di noi qui presenti, resi giusti mediante il Battesimo ed inviati nel mondo per essere suoi testimoni è rivolto il medesimo invito: non temere. Davanti alle prove della vita e agli sconvolgimenti della storia (cfr…), davanti ai quali la conferma della nostra fede si fa sempre più problematica e perciò sempre più impegnativa, il Signore dice: non temere di prendere con te quanto hai ricevuto in dono nel Battesimo, ossia lo stesso Signore. Chiediamoci pertanto che cosa portiamo con noi; quale sia il nostro bagaglio di pensieri, concetti e orientamenti. Domandiamo perciò a s. Giuseppe la capacità di essere essenziali nel carico della nostra vita, di avere principalmente, se non unicamente, con noi il tesoro più grande: il Signore Gesù. Quale altro tesoro potremmo mai avere in cambio? Egli è –così come nel racconto della parabola- simile al tesoro nascosto in un campo, oppure come il mercante che va in cerca di una perla preziosa il quale dopo averla trovata vende tutto ciò che possiede (perché nettamente di valore inferiore) e acquista quella perla, perché sa essere di inestimabile valore.
Cari fratelli e sorelle, ciò che abbiamo ricevuto in dono -il Signore Gesù- è il bene prezioso più grande! ce ne rendiamo conto?

L’angelo disse a Giuseppe: Tu lo chiamerai Gesù. Bellissimo questo passaggio e non di marginale importanza. Infatti oltre l’aspetto giuridico che vedeva nella figura paterna il titolare preposto per l’assegnazione del nome, questo è per noi un indizio prezioso e un dettaglio non trascurabile, affinché possiamo comprendere e quindi valutare se tutto ciò che facciamo, scegliamo e costruiamo, in altre parole generiamo nella nostra vita, possiamo attribuirgli il nome stesso di Gesù; in altre parole se le nostre azioni hanno le caratteristiche del Vangelo./ San Giuseppe ci guidi perciò nelle scelte, nelle operatività, nella costruzione dei nostri progetti, affinché possano tutti e sempre contenere il nome, cioè la persona del Signore Gesù. Ma non semplicemente come un corollario, un appellativo qualsiasi, o una etichetta giustapposti, quanto piuttosto come espressione di una vita tutta improntata e impostata sul Vangelo.
E la conclusione della vicenda è suggellata dalle parole del Vangelo: “Fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”. Ossia depose la paura e le sue conseguenze, compresi naturalmente i progetti legati al ripudio, e prese con sé Maria come sua sposa. E la cosa più importante, carissimi fratelli e sorelle, è che da quel momento Giuseppe ha la piena consapevolezza di entrare nel mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Questa certezza deve pertanto essere anche la nostra. E lo sarà nella misura in cui, con umiltà, sapremo essere totalmente disponibili a Dio; ed egli Dio non si limiterà certamente a farci giocare da riserve nella partita della nostra vita, ma da titolari./ Però.., c’è un però, a noi spetta di essere consapevoli o meno che quella partita l’ha già vinta Lui, Dio, mediante il dono totale del Figlio, al quale, senza riserve, dobbiamo aderire nella fedeltà battesimale.
Carissimo don Roberto, in questo giorno tu hai chiesto davanti a questa assemblea, per la tua vita già consacrata mediante il Battesimo e l’Ordinazione presbiterale, di poterla ancora -questa tua vita- offrire a Dio attraverso il servizio nella Società di Vita Apostolica Saint Jean de la Croix.
La Figura di San Giuseppe, che ha pienamente illuminato la vita di san Giovanni della Croce, possa sostenere anche la tua nell’osservanza fedele all’orazione, alla lettura e meditazione della Parola di Dio e degli insegnamenti della Chiesa. Possa ancora sostenere e guidare il tuo servizio a favore dei fratelli e delle sorelle nella costruzione ed educazione a quella spiritualità, senza la quale – come l’esperienza di San Giuseppe ci insegna- non avremmo mai la capacità e neanche la minima intuizione di poter accedere alla comprensione della volontà di Dio.
Carissimo don Roberto, per tutto quanto le nostre povere parole hanno espresso e potrebbero ancora dire, ti sia di sostegno la forza e l’incoraggiamento espressi con le parole del rito: “Dio porti a compimento ciò che ha iniziato in te”.