L’intervento del vescovo Piemontese a seguito dell’accordo sulla vertenza dell’acciaieria

Mentre le Agenzie di stampa annunciano che è stato firmato l’accordo AST, che pone fine a sei mesi di incertezze, a quattro mesi di trattative serrate e a 36 giorni di sciopero, uno dei più lunghi degli ultimi anni per una crisi industriale, ora tutti possono dare un respiro di sollievo.

E’ stata una vertenza aspra, attraversata da sentimenti di disperazione, da venature di rivalsa, da sussulti di intransigenza e da tentativi di prepotenza.
La posta in gioco era alta e, come sempre alla fine di ogni vertenza, si tirano le somme e ci si accorge che tutti risultano vincitori, tutti hanno dovuto rinunciare a qualcosa, tutti hanno perso qualcosa.
La sensazione di generale soddisfazione per essere scampati ad un pericolo di depauperamento generale, di grave perdita personale, sociale e comunitaria, e di aver rilanciato un progetto, si associa comunque a un senso di amaro in bocca. Certo, ognuno guarda la vicenda, e la soluzione, come meglio gli aggrada.

Due considerazioni vengono alla mente.

La prima è di ringraziamento a Dio, che come Chiesa abbiamo invocato con fiducia, e di gratitudine a quanti si sono adoperati per la positiva soluzione della vertenza: operai, Sindacato, Proprietà, Istituzioni. Grazie anche a quanti hanno incoraggiato a trovare soluzioni eque e positive per i lavoratori e le loro famiglie. Vorrei esprimere un pensiero grato a Papa Francesco per le sue preghiere di sostegno alla nostra causa e per le vibranti parole di monito a “rispettare la dignità dei lavoratori e a non giocare col lavoro”.
La seconda considerazione è di collaborare a limitare le conseguenze e i danni collaterali di una vertenza che è stata dura, ha procurato delle ferite ed è durata troppo tempo.

Certamente 36 giorni di sciopero hanno creato seri disagi agli operai e alle loro famiglie per la mancanza del salario. Occorrerà attivarsi per venire incontro alle situazioni più critiche.
Inoltre urge un impegno sincero a ricomporre il tessuto aziendale e civile, mentre si “sottoscrive l’accordo” . Vanno ricuciti i rapporti interpersonali e istituzionali all’interno della fabbrica, dove certamente sarà difficile far finta che non sia successo niente. Rivendicazioni, parole sopra le righe, toni alti, gesti e posizioni dure, ecc. non sono cose che si superano facilmente. Cova sempre all’interno di ognuno, anche dopo “l’armistizio”, il desiderio di prevalere o della rivincita. Senza una positiva volontà di rispetto reciproco e il desiderio di ritornare a rapporti istituzionali corretti, improntati a stima, collaborazione e, perché no, a perdono reciproco, la collaborazione diventa difficile e la vita quotidiana pesante.

Per oltre 300 operai e le loro famiglie, che hanno deciso di lasciare la fabbrica (anche se con l’incentivo economico) non sarà un tempo facile. Incertezza sul futuro, rimpianti, nostalgia degli amici e forse della fabbrica vista come luogo della sicurezza esistenziale ed esercizio della propria dignità, ecc., saranno ingredienti per un Natale amaro.

Ai lavoratori rivolgo l’augurio di una serena ripresa del lavoro.
Alla città e a ciascuno l’invito alla speranza, fondata su Gesù Cristo, Figlio di Dio che si è fatto uomo e operaio.

P. Giuseppe Piemontese OFMConv – vescovo