Eccoci di nuovo insieme, cari fratelli presbiteri, diaconi, religiose e religiosi, popolo santo fedele di Dio, attorno all’altare del Signore, assemblea liturgica radunata dallo Spirito per celebrare il Santo Sacrificio. Il cuore è ricolmo di commozione e di gioia mentre viene riempito il vuoto, causato dalla lontananza delle vostre persone, impedite anche di partecipare alla liturgia di lode, di adorazione, di ringraziamento. Lasciamo che si rallegrino gli animi, esplodano i sentimenti, si intreccino la preghiera, i canti, l’adorazione e la lode in un’unica voce, espressione di un cuor solo e un’anima sola.
Tutto ciò avviene alla vigilia della Pentecoste, culmine e conclusione del laetissimum spatium della gioia della Pasqua, all’interno della nostra Chiesa Madre, cattedrale di S. Maria Assunta, che assume i particolarissimi contorni del cenacolo. Noi, discepoli del Signore, radunati con Maria, invochiamo il dono di una nuova Pentecoste sulla Chiesa, prefigurata e auspicata dalla consacrazione del crisma nuovo e dalla benedizione dell’olio dei catecumeni e dell’olio degli infermi. Nella simbologia dei sacri oli rinnovati, nel compimento della Pasqua, vogliamo cominciare a ritrovare il tempo perduto, recuperare i doni di grazia che ci sono mancati, colmare l’attesa dei catecumeni che hanno rinviato la celebrazione del battesimo, porre rimedio alla delusione dei fanciulli e dei ragazzi dispiaciuti per aver visto forzatamente cancellato e rinviato “il giorno beato”, come si cantava in altri tempi, dell’incontro con Gesù Eucaristico e della Confermazione con il sigillo dello Spirito Santo.
Noi sacerdoti abbiamo avvertito la sofferenza, la mancanza durante la settimana santa di questa messa crismale, richiamo, simbolo e memoria del nostro sacerdozio, dell’evento che ha segnato la nostra vita in maniera indelebile, quando con l’unzione col Sacro Crisma e l’imposizione delle mani della Chiesa, è iniziata la nostra avventura di apostoli, configurati sacramentalmente a Gesù sacerdote e pastore, inseriti nel presbiterio di questa chiesa di Terni-Narni-Amelia e inviati quali ministri di Cristo nel mondo intero.
Anche quest’anno, pur segnato dalla pandemia, in questa celebrazione solennissima, possiamo e desideriamo rinnovare le nostre promesse di amore, fedeltà e obbedienza alla Chiesa in una maniera chiara e forte, con un grido di fiducia e di abbandono, che “svegli” il Signore per liberarci da questo flagello che incombe e doni alla nostra Chiesa future vocazioni al sacerdozio ministeriale.
Cari fratelli e sorelle invito a pregare con gratitudine per la santificazione dei nostri presbiteri e diaconi. Ci sentiamo in comunione con confratelli che non sono presenti fisicamente per motivi di salute, di ministero o per altre ragioni.
Un ricordo particolare di felicitazione a loro e di gratitudine al Signore per quei confratelli che quest’anno festeggiano il giubileo:
Don Fabrizio Bagnara, che il prossimo 4 giugno festeggerà 25 anni di ordinazione sacerdotale;
E i diaconi permanenti Mauro Pacifici e Tito Di Maggio che il 27 agosto festeggeranno i 25 anni di ordinazione diaconale.
Ci impegniamo ad accompagnare con la preghiera, nel loro ulteriore cammino vocazionale, i tre diaconi, ordinati il 30-11-2019, Daniele Martelli e Giuseppe Zen e Graziano Gubbiotti.
Sempre in riferimento al nostro Presbiterio desidero comunicare il rientro definitivo in Italia e in diocesi di Don Sergio Vandini, al termine del suo servizio di missionario Fidei donum in Africa.
E inoltre l’incardinazione nella nostra diocesi di due sacerdoti Fidei domum, che già da anni prestano servizio pastorale nella nostra chiesa particolare:
Don Jean Pierre Kalongisa Munina. Nato il 4 aprile 1970 a Mpandi, nella Repubblica Democratica del Congo, è stato ordinato sacerdote il 26 Luglio 1999 per la Diocesi di Lwiza.
In Italia dal 2008, ha studiato presso la Pontificia Università della Santa Croce e si è laureato in Teologia nel 2015. Sacerdote fidei donum nella diocesi di Terni Narni Amelia dal luglio 2010, è stato Vicerettore al Santuario della Madonna del Ponte in Narni e nel 2016 è stato nominato Vicario Parrocchiale della Parrocchia dei Santi Giovenale e Cassio in Narni.
Don Josivaldo Assis De Oliveira, nato il 6 gennaio 1978 a San Paolo do Potengi (Brasile) è stato ordinato presbitero il 10 novembre 2012 per la Diocesi di Lins (Brasile) ed è stato missionario per 3 anni in Angola presso la Diocesi di Lwena. Da quattro anni è vice parroco nella parrocchia del Sacro Cuore Immacolato di Maria a Terni e studia presso l’Università Pontificia Lateranense per conseguire la licenza in Teologia dogmatica.
Ricordiamo l’unico sacerdote tornato alla Casa del Padre nell’ultimo anno:
Don Giuseppe Marinozzi, deceduto a Terni il 12-1-2020, di anni 104.
Affidiamo alla misericordia del Signore lui e i tanti sacerdoti e malati deceduti per la pandemia.
La pandemia covid19 ci ha colti di sorpresa e tutti abbiamo vissuto un tempo sospeso, smarriti per il veloce propagarsi del virus, per i suoi drammatici effetti e le prospettive incerte. Al contempo abbiamo potuto scoprire e incentivare l’ opportunità di vivere la Chiesa domestica, riscoprire il valore e la bellezza delle relazioni, l’ esercizio della carità e della disponibilità, cose che, in tempi normali si sono date per scontate.
Noi sacerdoti, in quarantena come tutti, abbiamo celebrato da soli, per e con il nostro popolo nel cuore. Abbiamo riscoperto la natura del nostro sacerdozio, che non trae efficacia da noi, dalla gente delle nostre comunità, dai fedeli presenti, ma dalla conformazione a Cristo Sacerdote:
sacerdoti per sempre, partecipi del sacerdozio di Cristo; sacerdoti per Dio e per l’ intero Popolo di Dio.
Attorno all’altare è radunata tutta la Chiesa; quella celeste e quella terrestre, vivi e defunti. Per tutti Gesù si offre e con Gesù offriamo noi stessi per la redenzione del mondo.
Tanto onore, di cui siamo rivestiti, così viene interpretato da un vescovo tra il 600 e 700, mons. Massillon, vescovo di Clermont. Egli dice ai suoi preti:
“Che cos’è l’onore del Sacerdozio? È una onorevole servitù che, pur sollevandoci sopra di tutti, ci rende a tutti debitori; è una laboriosa e universale sollecitudine, che ci mette in mano le passioni, i bisogni, le debolezze e tutto il treno delle umane miserie: un peso che, seppure ci opprime, ci obbliga a portare in seno un popolo intero, come fa la mamma col suo bambino e a soffrire, senza mai stancarci, tutte le sue inquietudini e i suoi capricci; a tollerare senza abbandonarlo le sue ingratitudini e i suoi lamenti; a condurre all’obbedienza della fede una moltitudine di cervelli, di talenti, di condizioni, moltiplicando le nostre sollecitudini…”
Il collegamento del sacerdote alla figura della mamma non è azzardato, ma piuttosto provocazione quotidiana: sensibilità, delicatezza, capacità di sacrificio, generatività di vita e creatività continua, apertura al nuovo, cura della casa, attenzione e preoccupazione per la salute fisica e spirituale della famiglia, ampiezza di attenzione per i figli più deboli, cura dei dettagli, sguardo positivo per il futuro, continua consegna e raccomandazione per l’unità e la concordia tra i figli.
E’ il prete che interpreta, esprime e manifesta nella concretezza quotidiana, la dimensione materna della chiesa: la santa madre chiesa.
Papa Francesco, nell’udienza generale del 5-11-2014, così descriveva questa funzione materna:
“Nella presenza e nel ministero dei Vescovi, dei Presbiteri e dei Diaconi possiamo riconoscere il vero volto della Chiesa: è la Santa Madre Chiesa Gerarchica. E davvero, attraverso questi fratelli scelti dal Signore e consacrati con il sacramento dell’Ordine, la Chiesa esercita la sua maternità: ci genera nel Battesimo come cristiani, facendoci rinascere in Cristo; veglia sulla nostra crescita nella fede; ci accompagna fra le braccia del Padre, per ricevere il suo perdono; prepara per noi la mensa eucaristica, dove ci nutre con la Parola di Dio e il Corpo e il Sangue di Gesù; invoca su di noi la benedizione di Dio e la forza del suo Spirito, sostenendoci per tutto il corso della nostra vita e avvolgendoci della sua tenerezza e del suo calore, soprattutto nei momenti più delicati della prova, della sofferenza e della morte”.
E ora, ancora in mezzo alla pandemia, come chiesa dobbiamo fare discernimento per invocare lo Spirito e accogliere da Lui illuminazione e spinta per svolgere il nostro “compito materno” di generazione e cura della fede e della vita cristiana delle comunità, di oggi.
Una cosa è certa: non sarà possibile mettere tra parentesi questi tre mesi e riprendere le precedenti abitudini di vita, né ritmi, metodi e stili di evangelizzazione e di azione pastorale di prima. La stessa visita pastorale che si è conclusa nella sua fase sostanziale, deve rimodulare le conclusioni operative, alla luce degli eventi e delle novità e provocazioni della pandemia.
Lo faremo presto, partendo dalla situazione religiosa delle nostre comunità cristiane e della condizione sociale e civile delle nostre città e dei nostri paesi, modificate dalla pandemia.
Desidero affidare alla riflessione di ciascuno e della nostra Chiesa, in vista del discernimento comunitario, tre elementi di provocazione.
1. L’umanità e la nostra chiesa è ad un bivio: un cambiamento d’epoca.
Ho già avuto modo di consegnarvi alcune riflessioni in tal senso, rese più evidenti dall’impatto del coronavirus. E’ una ennesima conferma di quanto più volte sottolineato da Papa Francesco.
“Tutto questo ha una particolare valenza nel nostro tempo, perché quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza. Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima”. “Noi dobbiamo avviare processi e non occupare spazi”.
(Discorso alla Curia romana per gli auguri di Natale, 21-12-2019)
2. La Chiesa, la nostra Chiesa è chiamata ad evangelizzare questo mondo e questa umanità, lasciandosi interrogare dalle sfide del tempo presente.
La pandemia è stato l’ultimo atto in ordine di tempo a far intravedere a gran parte dell’umanità la fragilità e l’inconsistenza di tante certezze in riferimento alla salute, alla sicurezza umana; ha posto dubbi, interrogativi che sembravano rimossi o fuori moda riguardanti le convinzioni filosofiche, scientifiche e religiose.
Anche noi cristiani, nelle lunghe giornate di clausura, abbiamo avuto modo di confrontarci con i fondamenti delle nostra fede, siamo tornati all’essenzialità: il rapporto e l’annuncio di Gesù Cristo, salvatore del mondo, un più chiaro e amorevole riferimento a Dio, padre di misericordia, padre di tutti gli uomini, collegati e legati da un destino comune.
Tale consapevolezza e rivelazione ci viene consegnata per seminare, diffondere e testimoniare nelle relazioni quotidiane, prossime e universali la conoscenza e la presenza di Dio e il suo amore, rivelatoci da Gesù e contenuto nel Vangelo
3. L’annuncio del Vangelo, la crescita della fede, speranza e carità nelle nostre comunità
dovrà trovare nelle relazioni personali e interpersonali dirette il canale di trasmissione dell’amore, offertoci da Gesù. Nella famiglia, nelle parrocchie e nella diocesi si cercheranno gli elementi di fraternità, di comunione, di grazia dove ci si incontra, si annuncia e si testimonia il Vangelo e l’amore di Gesù. Le comunità dei discepoli del Signore si relazioneranno e cresceranno a misura di piccole comunità, collegate dall’amore e dalla grazia della Parola e dei sacramenti, affinché diventino sale e lievito nel mondo e nell’umanità, secondo il comando e con la forza di Gesù nello Spirito santo
Forse dovremo predisporci alla fine dei grandi raduni a motivo del periodo storico che attraversiamo e per ragioni sociologiche e sanitarie.
Siamo chiamati ad avviare processi di… giustizia, umanità, fraternità, amore, misericordia, amicizia, comunicazione, contagio del virus dell’amore di Dio affidato e custodito dalla Chiesa e dai cristiani.
La nostra Chiesa, in comunione con le chiese sorelle della CEU e della CEI, dovrà discernere, individuare e avviare tali processi. Gesù ripete anche a noi: non temete: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno” (lc 12,32).,
Cari fratelli e sorelle,
oggi facciamo memoria della santa unzione con la quale siamo stati santificati come cristiani nel battesimo e nella cresima, come presbiteri e vescovo, nella ordinazione sacerdotale. Attraverso di essa lo Spirito eleva la nostra dignità e ci riempie di profonda gioia e consolazione: siamo un popolo di sacerdoti e di profeti.
Non sviliamo il dono di Dio che è in noi singoli e chiesa.
Ovunque andiamo, come cristiani e come ministri “unti” portiamo e diffondiamo il profumo del crisma, dello Spirito Santo, di Cristo perché il mondo sia sanato, santificato, si raduni nella gioia, per adorare Dio Padre di Gesù e padre di tutti.
Lasciamoci guidare da Maria, Madre della Chiesa e dei sacerdoti. Qui la veneriamo col titolo speciale di Madonna della Misericordia, a Lei abbiamo rinnovato la consacrazione della nostra Diocesi. Lei accompagnerà il cammino anche in questo tempo di pandemia.
Terni, 29 maggio 2020
Antivigilia di Pentecoste
+ P. Giuseppe Piemontese OFM Conv
Vescovo di Terni-Narni-Amelia