Narni scalo – festa di Sant’Antonio 2022 e chiusura del giubileo parrocchiale

Dio onnipotente ed eterno che in sant’Antonio di Padova hai dato al tuo popolo un insigne predicatore e un patrono dei poveri e dei sofferenti, fa’ che per sua intercessione seguiamo gli insegnamenti del Vangelo e sperimentiamo nella prova il soccorso della tua misericordia.
Carissimi fratelli e sorelle, se andiamo a considerare il brano di Vangelo appena proclamato dobbiamo certamente dire che abbiamo veramente bisogno dell’intercessione del nostro caro sant’ Antonio per poterne seguire gli insegnamenti.
In questi tempi così particolari, difficili e complessi sotto una miriade di punti di vista, il Vangelo ci dona alcune perle preziosissime per la vita dei singoli, delle persone, del mondo intero.
Anzitutto la preghiera; la preghiera come fonte da cui si origina sia la familiarità con Dio, sia i doni che da lui vengono elargiti per il bene delle persone all’interno della logica del Regno. Poi la testimonianza del Vangelo attraverso l’essenzialità della vita ed infine l’invocazione della pace.
Sant’Antonio di Padova è per noi un esempio sublime di vita evangelica impegnata bene nell’ascolto della Parola di Dio e nella sua testimonianza. Possiamo dire che egli non si sia dato pace fino a quando non ha compreso che tutta la sua vita avrebbe dovuto spenderla interamente per dare risposta a quell’amore di Dio che per sé sentiva essere immenso. Come sappiamo Fernando – questo il suo nome di Battesimo – si abbandonò all’amore di Dio mediante la risposta generosa nella vocazione di speciale consacrazione. Egli a circa 15 anni entrò nel convento agostiniano S. Vincenzo, fuori le mura di Lisbona; in seguito si trasferì a Coimbra, allora capitale del Portogallo, dove vi rimase per 8 anni approfondendo la formazione religiosa e dedicandosi allo studio. A 25 anni venne ordinato sacerdote.
La data per noi particolarmente importante è il 1220, anno in cui il giovane Fernando venne in contatto con i frati del poverello di Assisi. Dico per noi perché quei piccoli frati erano della nostra terra, della nostra Chiesa: Berardo de’ Leopardi da Calvi, Pietro de’ Bonanti da Sangemini, Ottone de’ Petricchi da Stroncone, Accursio Vacuzio di Aguzzo, Adiuto e Vitale della diocesi di Narni.
Cinque di loro Fernando li vide partire per il Marocco e li vide anche rientrare ma morti, martirizzati. Questo fatto invece di suscitare in lui terrore, alimentò ulteriormente il desiderio di donarsi con maggiore forza e slancio al Signore. Fu così che dismise gli abiti agostiniani e indossò il saio francescano e con questo abbandonò anche il nome di Battesimo per assumere quello di Antonio. Decise pertanto di rimpiazzare, se così possiamo dire, quei suoi confratelli che avevano dato la vita per Cristo nella missione e partì per il Marocco. Una non ben definita malattia lo costrinse però a non poter esercitare in alcun modo la predicazione e quindi si vide costretto a rientrare in patria. Un naufragio lo vide approdare in Sicilia e più tardi arrivare ad Assisi dove, nella Pentecoste del 1221 incontrò Francesco. Da qui venne inviato in Romagna per dedicarsi alla preghiera e all’umile servizio. A Forlì venne chiamato a sostituire l’oratore che era stato ingaggiato per la predicazione in occasione delle ordinazioni sacerdotali. In questa circostanza fu a tutti chiaro il suo alto talento di predicatore e di grande comunicatore. Da quel momento Antonio iniziò a percorrere le strade dell’Italia e del sud della Francia per animare alla vita del Vangelo ed orientarne le coscienze. Per 2 anni insegnò anche teologia a Bologna. Fu Ministro provinciale del nord Italia; in questo periodo dimostrerà particolare predilezione per la città di Padova. Il suo impegno nell’annuncio del Vangelo e nell’esercizio del sacramento della riconciliazione hanno fatto di lui l’espressione vibrante della Parola di Dio viva, specialmente dei brani oggi proclamati. A questo è da aggiungere la conseguente attenzione ai poveri e ai mali del territorio, che possono essere lo specchio di quanto abbiamo sentito nella drammatica pagina della vicenda riportata nella prima lettura. Le fatiche della Quaresima del 1231 lo costrinsero a ritirarsi a Camposampiero, un paesino vicino a Padova, ospite del conte Tiso, dal quale otterrà sì ospitalità, ma al quale chiese che questa fosse ubicata in un rifugio allestito sopra un albero di noce. Di qui il conte Tiso documentò della mirabile visita che il santo ebbe del bambino Gesù, così come l’iconografia ci ha trasmesso di lui. Il 13 giugno di quell’anno Antonio si aggravò, chiese perciò di esser trasportato a Padova dove ad appena 36 anni consegnò il suo spirito al Padre Celeste. A soli 11 mesi dalla morte papa Gregorio IX si sentì in dovere di ratificare quanto il popolo ormai già gli tributava e lo canonizzò proclamandolo santo.

Carissimi fratelli e sorelle, mi chiedo che cosa mai avrà detto il bambino Gesù in quella mirabile visione di cui ci testimonia il conte Tiso? Io credo che, al di là della pur giustificata e motivata fantasia, il Signore Gesù abbia confermato ad Antonio la Parola che fino a quel momento aveva testimoniato con la lingua. Gli abbia cioè ripetuto ed illuminato anche il senso di quelle parole che rivolse alla Madre Maria dopo la ricerca affannata a seguito dello smarrimento a Gerusalemme: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”
E Antonio, così come abbiamo visto nelle veloci pennellate del gigante affresco della sua vita, si è veramente impegnato nella ricerca della volontà di Dio e nell’attuazione delle sue cose. A ciascuno di noi Antonio fa dono di questa sua esperienza, dona cioè il Signore Gesù, il Vangelo, perché lo possiamo accogliere ed abbracciare con delicatezza e ancor di più riconoscere, come lui ha fatto, nella carne viva di ogni fratello e sorella sofferente nel corpo e nello spirito.
Egli che ha vissuto la sua vita tutta spesa intensamente nell’arco della sua giovinezza è di esempio per tutti affinché utilizziamo bene il tempo che abbiamo a disposizione. Ma soprattutto è di stimolo per i giovani, affinché non sprechino o sciupino gli anni migliori dell’esistenza, ma sappiano coglierne ogni impulso di bene, a costo pure di rivoluzionare il proprio essere in meglio, così come lo fu per il passaggio da Fernando ad Antonio.
Non si tratta di metamorfosi quanto piuttosto di accogliere a piene mani i doni di grazia -chiamiamole pure buone opportunità- che il Signore pone sul nostro cammino. specialmente in questo tempo ecclesiale, caratterizzato dal percorso sinodale, siamo esortati a saper intravvedere i segni di bene (da scoprire) che ci vengono offerti, accoglierli e farli fruttificare ed anche a condividerli mediante la testimonianza.
Antonio ci dona Gesù, ci dona il Vangelo, la sua straordinaria bellezza, il suo celestiale candore e il suo inebriante profumo, affinché fra le tante brutture e i diversi odori sgradevoli della nostra storia possa, attraverso il nostro apporto e il contributo di ciascuno, emergere la bellezza di un mondo rinnovato nell’Amore.
Nella tendenza comune a tenere, conservare, imbrigliare, cristallizzate le cose come stavano, la Parola di Dio offre a noi oggi –così come lo fu per il Signore Gesù e per Antonio- la stupenda pagina che abbiamo sentito proclamata nella prima lettura: “Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare un lieto annuncio ai poveri…” il nostro essere battezzati, il nostro essere cristiani non può limitarsi perciò ad una semplice annotazione sui registri parrocchiali ma rendersi vita bella nella prosecuzione della stessa azione del Signore Gesù anzi nella manifestazione della sua stessa azione apostolica nella e tramite la nostra vita. E così siamo in grado di costruire e mettere in pratica durante la storia che si scrive nei nostri giorni la perenne e bella novità dello spirito e poter –come abbiamo pregato col ritornello del Salmo responsoriale “cantare in eterno l’amore del Signore”.
Nella misura in cui questo avviene si ha istantaneamente sia la semina come anche il raccolto: la semina del bene e il raccolto del medesimo bene nel sacrario della propria esistenza che, in Cristo, diviene sempre misura traboccante nell’oggi e per l’eternità.
Sant’Antonio ci conceda la grazia di vivere nella bellezza dell’essere cristiani e ci doni la sovrabbondante gioia per poterla, questa gioia di sentirsi amati da Dio, contagiare anche agli altri. Amen.