Omelia mons. Renato Boccardo per il centenario della nascita di mons. Gualdrini 2023

Il messaggio che oggi ci reca la parola del Signore si apre ponendo davanti a noi situazioni di angoscia e terrore: Geremia deve annunciare violenza e oppressione mentre i suoi nemici lo accusano di alimentare una strategia della tensione e minacciano di denunciarlo; il salmista esclama: «Per te sopporto l’insulto e la vergogna mi copre la faccia; sono diventato un estraneo ai miei fratelli».

Anche noi esperimentiamo la paura. Questo mondo ci appare talvolta ostile e minaccioso, capace di schiacciarci con i suoi cataclismi o anche con il suo stesso progresso, come una macchina troppo potente che sfugge di mano al guidatore e lo travolge. È il riflesso della cattiveria umana che, come una nube tossica, getta la sua ombra sul creato e gli conferisce un volto ostile. È il peccato – di cui ha parlato Paolo nella seconda lettura – che, a partire dalla trasgressione di Adamo, è andato ingrossandosi come una valanga, determinando la nostra situazione nel mondo.

Su questa esperienza di trepidazione e di incertezza, il Vangelo fa calare, come balsamo, la parola di Gesù mentre affida agli apostoli il compito di rivelare a tutti gli uomini quanto ognuno sia prezioso agli occhi di Dio (cf Is 43, 4): «Non abbiate paura!». Li invia a ridonare fiducia, a rendere saldo ciò che è malfermo, a seminare ragioni per la fedeltà e la speranza. Li invia non già a fare proseliti ma per un debito d’amore: «Va’ e annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te», ripeterà ad un indemoniato liberato (cf Mc 5, 19). Li invia a comunicare il segreto della loro vita, la ragione della loro pace interiore, la forza che sostiene il loro cammino.

A fronte di un tale mandato i Dodici hanno certamente dovuto fare i conti con la loro reale paura, che emergerà in tutta la sua evidenza proprio nei giorni bui della passione. E per ben tre volte il Signore ripete l’invito a non concentrarsi sul calcolo delle proprie capacità ma a fissare lo sguardo su di lui, che si fida proprio di loro: «Non abbiate paura», ossia «Abbiate fiducia in me». È come se Gesù riconoscesse che la paura del discepolo non ha il suo retroterra in una mancanza di coraggio ma nella mancata intimità con il Maestro. «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13) ripeterà un giorno l’apostolo Paolo.

Ma perché «Non abbiate paura»? Perché ci sarà senz’altro chi si opporrà al loro annuncio e alla loro testimonianza. Ad una lettura superficiale quel momento potrà essere letto solo nel suo versante negativo, come una contestazione o una vera e propria persecuzione, come è accaduto nella storia e avviene ancora oggi. Con uno sguardo di fede, però, è proprio il momento conflittuale che rivela cosa cerca il nostro cuore, per cosa si appassiona, per chi è disposto a giocarsi. Ciò per cui uno è disposto a pagare di persona, a dare anche la vita se necessario, rivela ciò per cui ha scelto di vivere. Quando il cuore è colmo di una presenza, che cosa potrà temere? Il problema sorge quando il cuore non ospita più nulla e, di conseguenza, diventa ricettacolo di tutto ciò che crea soltanto divisioni. Lo sappiamo bene: tutto quanto non ha radici ben piantate nel cuore stesso di Dio non regge al confronto con l’opposizione. Il destino finale dei discepoli dipende dalla qualità della loro relazione vitale con Gesù. Questa è anche la radice della loro libertà coraggiosa e della ferma fiducia nella testimonianza del Vangelo.

«Non abbiate paura». Mi piace rileggere con voi il ministero del Rettore e Vescovo Franco Gualdrini alla luce di questa esortazione di Gesù. La sua missione di formatore di generazioni di giovani aspiranti al sacerdozio e di Pastore di Terni-Narni-Amelia è stata come un invito costante ad affidarsi e fidarsi del Signore. Come non ricordare la sua autentica “passione” per la Parola di Dio, per l’Eucarestia e per la Chiesa, che noi giovani alunni del Collegio Capranica a Roma abbiamo visto ed ammirato ogni sabato sera nella presidenza della celebrazione festiva (con il blocco di foglietti che contenevano l’omelia), e della quale voi, cari fratelli e sorelle di questa Chiesa diocesana, siete stati testimoni lungo gli anni del suo episcopato ternano!

Noi siamo convenuti oggi in questa Cattedrale, che è stata sua, per rendere grazie a Dio per la vita e il servizio ecclesiale di don Franco come educatore e come Vescovo, per raccogliere il suo messaggio, per non disperdere lungo la via la speranza e la forza che ci ha trasmesso, per non rallentare il ritmo vigoroso che egli ha impresso, con ammirevole costanza, al nostro passo di pellegrini. Tocca a noi serbarne la memoria e seguirne l’esempio: nella fede gioiosa, nella instancabile operosità, nell’amore discreto, silenzioso e fedele, che ha segnato come una costante tutta la sua lunga vita. Ed egli continuerà ad essere per molti di noi pastore e padre; e per questa Chiesa di Terni-Narni-Amelia segno non effimero né illusorio della presenza misteriosa del suo Signore.

Allora: Dio ti ricompensi, Vescovo Franco, per i tuoi sogni e per l’impegno profuso nella loro realizzazione: quante volte ci hai descritto la tua visione di una Chiesa tutta ministeriale, nella quale laici, presbiteri e persone consacrate, giovani e adulti, si facciano carico dell’annuncio sempre nuovo che può dare la vita al mondo. Mi hai scritto verso la fine del tuo episcopato: «Con la deformazione mentale dell’efficacia si rischia di soffrire, perché grandi risultati non ci sono. Mi sono convinto tuttavia che il mio compito è seminare in maniera pazza o ottimista (come dice don Mazzolari), che è poi il metodo evangelico».

Dio ti ricompensi, Vescovo Franco, per la fatica e l’entusiasmo della tua semina, per la dolcezza della tua paternità che ci rivelava la dolcezza della paternità di Dio, per l’attenzione che hai riservato a ciascuno di noi facendoci sentire unici davanti te, per la tua capacità di ascolto e di consiglio, per esserci stato compagno di cammino non come chi insegna dall’alto ma come uno che innaffia la pianta e la fa crescere.

Dio ti ricompensi, Vescovo Franco, per la vita donata per noi «con pazienza con chi sbaglia, con tolleranza per chi non condivide, con la fiducia e l’ottimismo di chi butta il seme nella certezza che per la verità c’è sempre un domani». Con te e sotto la tua guida, ne siamo certi, abbiamo potuto portare avanti per un piccolo tratto, non inerte, non inglorioso, non infecondo, l’annuncio e l’edificazione del Regno di Dio.

Ed ora che sei per sempre con il Signore Gesù e godi nella misericordia la ricompensa promessa al servo fedele, continua a volerci bene, caro Vescovo Franco, e con la tua intercessione accompagna questa Chiesa diocesana che hai amato e servito e sostieni il nostro ministero di preti sulle strade del mondo. Così sia!