Pontificale San Valentino 2024 Cattedrale Terni

Carissimi fratelli e sorelle, mentre celebriamo con la Chiesa universale la VI domenica del tempo Ordinario ed anche la 32 giornata mondiale del malato, la nostra chiesa diocesana unisce a queste circostanze i festeggiamenti in onore del proprio Patrono, san Valentino.
In questa felice convergenza di eventi, la Parola di Dio è tutta concentrata sulla malattia e in particolare sulla lebbra.
Nella storia del popolo di Israele, lo abbiamo sentito nella prima lettura, chi contraeva tale malattia, per legge doveva essere bandito dalla comunità, tenuto lontano, molto distante e vivere in solitudine una vera e propria situazione di emarginazione, di scarto. L’unica possibilità di vicinanza con le persone che poteva essergli consentita era quella con i propri simili, ossia con gli altri lebbrosi.
La lebbra questo era, non solo nella tradizione biblica ma anche in tutte le altre culture.
Nella Bibbia e nella tradizione spirituale che da essa si è sviluppata, la lebbra, in quanto male incurabile e corrosivo è diventata eloquente immagine del peccato. Dire peccato e lebbra diventarono sinonimi, sino ad arrivare a considerare la lebbra come la conseguenza estrema di un peccato grave. Pertanto uno che aveva contratto la lebbra si trovava a dover sopportare almeno un duplice terribile fardello: quello della malattia e quello dell’essere additato come il peggiore dei peccatori.
Per questo motivo il lebbroso non doveva avere nessun contatto con le altre persone. E siccome dalla lebbra non poteva guarire, la sua vita e la sua sussistenza futura erano inesorabilmente votate al più triste declino; considerati abbandonati dagli uomini e da Dio.
L’avvento del Signore Gesù getta una luce nuova, mai prima immaginata sulla situazione delle persone, specialmente povere o ammalate. Nel Vangelo abbiamo sentito uno degli avvenimenti riguardanti proprio un lebbroso. In questo racconto, stando alla descrizione dell’evangelista Marco, vengono sottolineati dei gesti, sia del lebbroso che di Gesù, che dalla legge erano espressamente e tassativamente vietati. Da parte del lebbroso, il quale si avvicina a una persona sana e da parte di Gesù che addirittura tocca il lebbroso.
In questo racconto abbiamo la sintesi della storia della salvezza arrivata al suo culmine, che in Gesù Cristo restaura, ripara il male del peccato, attraverso il segno della guarigione dalla malattia incurabile, e ristabilisce la vita rinnovata.
Carissimi fratelli e sorelle in questi due atteggiamenti abbiamo descritto quanto ogni persona, toccata, infettata e corrosa dalla lebbra del peccato, dovrebbe fare: riconoscendosi peccatore, avere il coraggio di avvicinarsi all’unica persona che può guarire l’inguaribile. Avvicinarsi a Gesù con lo stesso desiderio di guarigione; di essere reintegrato nella pace personale e comunitaria, nell’ottenere la luce interiore che riaccende la speranza in un futuro possibile.
Davanti a una tale situazione il Signore non sta a distanza, quasi timoroso di essere infettato dal male. Egli non rimane a distanza per il semplice fatto che già con la sua incarnazione ha preso su di sé la lebbra del nostro peccato e, nella croce, l’ha distrutta, restituendoci così la vita.
In questa domenica abbiamo davanti a noi la figura di san Valentino, il quale ha saputo cogliere nella propria esperienza di vita la parola di Dio fatta carne e nella propria carne, nella sua persona, l’ha resa evidente in ogni tratto: dall’essere vescovo, pastore premuroso del gregge di questa chiesa di Terni, alla delicata vicinanza verso i malati nel corpo e nello spirito, compiendo e rendendo vivi e veri quei gesti che Gesù aveva consegnato agli apostoli con le parole: “Guarite i malati, mondate i lebbrosi…”.
In questa occasione celebrando pure la 32 giornata mondiale del malato, Papa Francesco ha consegnato al mondo un messaggio dal titolo, tratto dalle parole del libro della Genesi: “Non è bene che l’uomo sia solo”, esortando tutti a curare il malato avendo cura delle relazioni.
Commenta il papa: “Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzare pienamente sé stessa nel dinamismo delle relazioni, dell’amicizia e dell’amore vicendevole. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria”.
Il messaggio del Santo Padre, nel sottolineare la cura del malato attraverso la cura delle relazioni, mette in risalto un aspetto che in filigrana ci riguarda tutti, infermi o sani che siamo, ed è dato dalla malattia che affligge la società attuale e dunque anche la nostra città e il nostro territorio, ossia la povertà delle relazioni. Anche le relazioni non sane, malate, che minano la nostra salute a qualsiasi livello di rapporto, dall’interpersonale al familiare al sociale.
Il nostro san Valentino, così attento a ogni tipo di buona relazione è per noi esempio affinché sentiamo vibrante e vero quanto solo l’amore mette in atto a favore delle buone relazioni tra le persone, ossia quelle che mirano alla comunione e non alla divisione o disgregazione; quelle che mirano alla edificazione e non alla distruzione; quelle che cercano di costruire ponti e non di innalzare muri.
Quest’anno, collegato e ispirato al cammino sinodale e al programma pastorale diocesano, per le manifestazioni valentiniane abbiamo scelto lo slogan “Camminiamo insieme” dando così ulteriore risalto a quanto ancora papa Francesco scrive nel messaggio per questa giornata: “In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù…. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione”.
San Valentino illumini col suo esempio la nostra città, il nostro territorio, la nostra Diocesi, a partire dalla famiglia, spesso anche disastrata, malata o corrosa dalla lebbra delle molteplici criticità, ad avvicinarsi a colui che solo può col suo tocco compassionevole e pieno di amore guarire ogni tipo di male e di malattia. Se questo non avviene sarà segno evidente che la guarigione non si desidera affatto.
Carissimo san Valentino, nostro Patrono, concedi alle nostre menti, ai nostri cuori la luce necessaria e alle nostre volontà la forza per avvicinarci a Gesù medico delle anime e dei corpi.
Qualora ti dovessi accorgere che questo è ancora troppo lontano dai nostri desideri, conduci e guida gli eventi; tessi tu le trame delle diverse vicende, affinché i nostri sentieri possano imbattersi e convergere verso l’unica strada della vita, nel Signore Gesù, via verità e vita.
Amato san Valentino, guida e illumina con il tuo sguardo di pastore mite e forte coloro che sono preposti alla guida della società, affinché antepongano sempre il bene comune a ogni visione di parte. Mostrati esempio di vita
. a tutti coloro che con fatica sognano la costruzione di una famiglia,
. a tutti coloro che ricercano la felicità attraverso la giusta realizzazione personale,
. agli adolescenti e giovani perché sappiano usare sapientemente il tempo e le buone occasioni della vita.
. a quanti soffrono nel corpo e nello spirito e faticano nel condurre una vita dignitosa, affinché attraverso la cura delle nostre relazioni possano sentire il calore della mano del Signore che salva.
Amato patrono san Valentino, facendomi interprete dei sentimenti del gregge a me affidato, così come lo fu per te, affido all’intercessione di Maria santissima questi desideri, perché dalle sue mani possano ritornare a noi colmi della benedizione della Santissima Trinità.